Un’intervista a cuore aperto per raccontare chi era davvero Marco Pantani, quel ragazzo trovato morto vent’anni fa in hotel a Rimini, ucciso da cocktail di farmaci antidepressivi e droga. Il campione, uno dei più amati di sempre dall’Italia nell’ambito del ciclismo (e non solo), non si era più ripreso dello stop del 1999, quando a Madonna di Campiglio, durante il Giro d’Italia, era stato trovato con ematocrito alto, sinonimo in qualche modo di doping. Il ciclismo era la sua vita: eppure, da piccolino, il suo sogno era il calcio, come raccontano i genitori al Quotidiano Nazionale. “Marco era un buono, sin da piccolo. Era anche molto vivace e ne ha combinate di tutti i colori. Da bambino voleva fare il calciatore” spiega la mamma Tonina.
Parole che Paolo, il padre, conferma: “Era un grande tifoso del Milan, ma il calcio non era il suo sport. Uno dei nostri vicini di casa era Roberto Amaducci. Allenava le giovanili della Fausto Coppi e lo convinse a fare ciclismo“. Proprio così nacque quell’amore immenso. “Le prime volte andava dietro ai ragazzini della Fausto Coppi con la mia bicicletta da donna e quando rientrava mi diceva tutto soddisfatto: ‘mamma, non mi hanno staccato'” racconta Tonina. Poi, è arrivata la prima bici vera: “Marco era incontenibile, faceva anche più di cento chilometri al giorno. Era un ragazzino, ma sulle salite più ripide delle nostre colline, lasciava a bocca aperta tanti ciclisti grandi che si allenavano su quelle strade. Tornava a casa che era distrutto ma felice, perché il ciclismo iniziava ad essere il suo mondo” spiega il papà.
Pantani, i genitori: “Lo hanno ucciso due volte”
Andando avanti con gli anni, quell’amore per la bici in Marco Pantani invece di svanire, si è rafforzato. “Era diventato tremendo, io e mio marito lavoravamo e non sapevamo mai cosa stesse combinando. Diverse volte mi hanno chiamato dal pronto soccorso perché aveva avuto un incidente mentre si allenava e aveva rischiato l’osso del collo. Un giorno mi precipitai in ospedale perché era stato investito. Quando lo vidi ero molto preoccupata perché aveva una faccia gonfia così e sopra il labbro c’era una ferita molto ampia. Ci mise parecchio a riprendersi, ma quando guarì, la cicatrice sul labbro superiore fece diventare il suo sorriso ancora più beffardo e speciale” ricorda mamma Tonina al Quotidiano Nazionale. Tanti, tantissimi i sacrifici fatti dal campione, fino ai trionfi al Giro d’Italia e Tour de France.
Eppure, proprio dopo il successo più grande, è finito tutto. Pantani è caduto in un incubo più grande di lui, dal quale non è riuscito a risalire. La mamma non ha dubbi: “Quel giorno a Madonna di Campiglio l’hanno fregato, ma peggio ancora l’hanno voluto fare fuori. Era evidentemente scomodo a qualcuno. E nessuno mi toglie dalla testa che vent’anni fa, quando è morto, non era solo nel residence di Rimini. Tanti avvoltoi gli giravano attorno. Io non ho mai smesso di sgridarlo, così come me la prendevo con chi gli stava attorno soltanto per interesse, ma Marco mi diceva: ’Ma’, è solo colpa mia: se non la voglio non la prendo’”. Parole condivise dal papà: “Il dispiacere più grande è che avrebbe potuto vincere ancora tanto ed essere con noi, invece l’hanno ucciso due volte, la prima a Madonna di Campiglio nel ’99 e poi a Rimini nel 2004″.