Paola Viscardi e Martina Svilpo si potevano salvare? E’ questa la domanda a cui cercheranno di rispondere nei prossimi giorni gli inquirenti chiamati ad indagare sulla morte delle due giovani piemontesi morte assiderate nella tarda serata di sabato sul Monte Rosa. Per il loro compagno di viaggio, Valerio Zolla, ora ricoverato nell’ospedale di Sion, è stato decisivo il fatto di non essersi mai seduto troppo a lungo, di aver continuato a cercare campo per chiamare i soccorsi. Come ricostruito da La Stampa, per la piccola spedizione “la notte è giunta nel pomeriggio con una bufera, prima con il temporale, poi con la neve, che ha limitato a pochi metri la visibilità e ha sviato i tre amici. La chiamata di Valerio delle 14,30 è stata rapita dal numero unico di emergenza di Saluzzo. Il tempo di dirsi in difficoltà per vento e nebbia e di indicare una meta, Balmehorn, poi soltanto confusione, linea interrotta. La chiamata è stata geolocalizzata, registrata e inoltrata a Novara (il Monte Rosa ha radici in due valli valdostane, due piemontesi e una svizzera), di qui rimbalzata a Torino dove ha sede il soccorso alpino piemontese e quindi, per competenza, finita ad Aosta. Erano le 15“.



PAOLA E MARTINA, MORTE ASSIDERATE SUL MONTE ROSA

Da qui il ragionamento che porta a dire che si sia persa mezz’ora, forse decisiva per salvare Paola e Martina. In quei frangenti, inoltre, si è persa anche l’occasione di avere dati più precisi. Tra i problemi sollevati dal soccorso alpino con il numero unico di emergenza, infatti, proprio l’impossibilità di poter parlare subito con chi è in difficoltà. Le guide alpine ricordano come “anche un piccolo dettaglio per chi conosce la montagna può indirizzare l’intervento”. Sempre La Stampa riporta: “Valerio non ha più chiamato fino alle 19,30, quando ormai i tre amici erano allo stremo delle forze. E proprio con questa seconda telefonata le guide hanno potuto comprendere dove fossero i tre alpinisti dispersi perché Valerio ha detto: «C’ è una schiarita, vedo il Cristo delle vette». È la statua sulla cima del Balmehorn. Ciò indicava che i tre erano di fronte, sulla Pyramide Vincent. E lì sono stati trovati alle 21,30: le ragazze in agonia, il giovane sotto choc e con le mani congelate (aveva dato i suoi guanti a Paola). Le squadre di soccorso avevano raggiunto a piedi il Balmehorn nel pomeriggio. Si erano organizzate subito dopo l’ arrivo della chiamata delle 15. Non avevano trovato tracce. I ragazzi, invece di scendere, confusi dalla bufera, sono saliti sulla Pyramide pensando forse di raggiungere il rifugio del Balmehorn“. Una storia tragica da cui trarre almeno un insegnamento: per i soccorritori è decisivo parlare con chi è in difficoltà Il 112, che ha l’indubbio vantaggio di offrire celerità e evitare dispersione di energie in falsi allarmi, presenta però lo svantaggio del filtro iniziale. Mancano infatti le domande che un conoscitore della zona può porre all’alpinista in difficoltà, così come i consigli che può fornirgli in attesa di essere localizzato. L’operatore del 112 invece deve trasferire la chiamata alla centrale operativa di secondo livello che decide il da farsi. Ciò non accade in Svizzera e in Francia, dove, oltre al 112 resta la possibilità di chiamare il soccorso alpino.

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