Negli scorsi giorni è arrivata la svolta in vista della Maturità 2022 e dell’esame di terza media, con il ritorno degli scritti dopo la pandemia, tra il test di italiano e la seconda prova. Non sono mancate le proteste di studenti e presidi, tant’è che non possiamo escludere nuovi capovolgimenti. Intervenuta sulle pagine de La Stampa, Paola Mastrocola non ha utilizzato troppi giri di parole…
«È come se la scuola dicesse che non ha fatto scuola per due anni, se ora accetta che i ragazzi si dichiarino impreparati a sostenere uno scritto di latino o di matematica», l’analisi della scrittrice e insegnante. L’esperta ha acceso i riflettori sugli effetti della didattica a distanza, sottolineando però un vulnus. «Abbiamo tenuto i ragazzi appesi a un video per due anni cinque ore al giorno (seppure a intermittenza) per non insegnare loro nulla? Se non stava funzionando, dovevamo dirlo prima, e non aspettare che l’annuncio del ministro sulle due prove finali scatenasse l’inferno», le parole di Paola Mastrocola.
PAOLA MASTROCOLA SUL DOSSIER SCUOLA
Paola Mastrocola si è interrogata sul valore dei titoli di studio in merito a queste polemiche, ma anche su un altro punto. È vero ciò che dicono gli studenti? La scrittrice ha rimarcato che molti docenti hanno lavorato bene, così come molti studenti hanno studiato in modo più che degno, nonostante le difficoltà legate alla pandemia. «È possibile che chi ha lavorato bene voglia esser messo alla prova, alla fine del suo corso di studi. Invece questa generazione uscirà indistintamente con un marchio d’infamia, se le verrà negato un esame serio: il mondo del lavoro ne terrà conto. Virus o non virus, Dad o non Dad, non credo ci saranno sconti, o alibi», il giudizio di Paola Mastrocola. Le questioni sono dunque due: o è stata data agli studenti una scuola inadeguata e inutile, oppure i ragazzi non hanno scuse e dovrebbero accettare le due scritti. La docente non ha dubbi: «Se aboliremo gli scritti, sarà da parte della scuola un’ammissione di colpa. Se li manterremo, sarà perché crediamo di aver fatto comunque un discreto lavoro, e anche perché confidiamo nella forza dei nostri giovani, capaci di affrontare – a diciannove anni, dopo tredici di studio – una prova».