TOMMASO ONOFRI, LA RABBIA DELLA MAMMA PAOLA PELLINGHELLI

Chiedere un commento sulla concessione della semilibertà a Salvatore Raimondi per la mamma di Tommaso Onofri vuol dire chiederle di parlare di una cosa “incommentabile“, perché si tratta dell’ennesimo caso in cui “l’ingiustizia ha fatto il suo corso“. Paola Pellinghelli ne parla a Tgcom24, tornando a quel 2 marzo 2006 in cui la sua vita è cambiata per sempre, perché quell’uomo rapì il suo piccolo Tommy, ritrovato poi morto un mese dopo.



Da quasi vent’anni prova a raccogliere i cocci di ciò che resta di questo grande dolore, ma di fronte a notizie come quella “quei cocci che hai incollato a fatica, si rompono un’altra volta“. Non è la prima che accade, infatti la mamma di Tommaso Onofri ricorda che sono tre le persone coinvolte nel rapimento e omicidio del figlio, alcune delle quali hanno già ottenuto permessi. Quando le viene fatto presente che la Costituzione italiana prevede la rieducazione e il reinserimento sociale dei detenuti, preferisce replica citando le parole della sua psicologa, a cui si è affidata per una decina d’anni: “Ci sono persone recuperabili e altre per cui si dovrebbe solo buttare via la chiave“.



“PERDONO? MEGLIO CHE NON SI FACCIANO VEDERE”

Non vuole sbilanciarsi sulla possibilità di perdonare Salvatore Raimondi, questione che tra l’altro qualche mese fa le ha posto anche il tribunale di sorveglianza di Bologna, preferendo lasciare la sua risposta all’immaginazione. La mamma del piccolo Tommy ritiene “che almeno un pò di rabbia” le vada riconosciuta, anche solo per il fatto che l’unica persona ad aver avuto l’ergastolo è lei. “Per me non esiste permesso speciale, nessuno mi potrà mai ridare mio figlio“. Non c’è spazio temporale che possa rimarginare questa ferita: “Mi è stata strappata la possibilità di vederlo crescere“.

Più che pensare se lei perdonerebbe, bisognerebbe chiedere loro se vogliano essere perdonati: “Ma è meglio che non si facciano vedere né sentire“. Anche perché quello che sente ancora di quel terribile giorno è il pianto del figlio, così come restano indelebili tutti gli altri momenti, la sua corsa disperata dopo essersi slegata, la speranza di un mese spezzata poi dal tragico ritrovamento del corpo senza vita.