E’ il mattino del 2 luglio 1994 quando di Paolo Adinolfi magistrato della Corte d’Appello di Roma scompare nel nulla. Le sue ultime tracce furono un bonifico fatto alla moglie da un ufficio postale e le chiavi di casa lasciate nella cassetta della posta della madre. Il suo corpo non fu mai trovato. Giovanna Adinolfi, figlia del magistrato, a Tg2 Dossier ha commentato: “Nell’ordine ti possono dire che sei scappato con una ballerina brasiliana, che avevi un conto chissà dove e quindi sei andato nell’isola deserta a spassartela oppure che ti sei suicidato”. Le tre piste furono passate al setaccio senza però trovare assolutamente nulla.
A dare nuovo impulso alle indagini ci penserà un pentito, due anni dopo la scomparsa del magistrato. Si tratta di Francesco Elmo, un uomo che mescola menzogne a mezze verità. Cita i servizi segreti e persino la banda della Magliana. Il corpo di Adinolfi fu cercato anche nelle catacombe adiacenti la villa sotto sequestro di Enrico Nicoletti, il cassiere della banda, ma non fu riscontrato nulla.
PAOLO ADINOLFI, MAGISTRATO SCOMPARSO: IL GIALLO
La figlia di Paolo Adinolfi ha commentato: “Hanno indagato molto bene, lo hanno cercato con attenzione, con passione, ovviamente tante cose non si potevano più fare”, ha aggiunto, rammentando i potenziali testimoni ormai morti, carte smarrite, rilievi su testimonianze che dicevano dove poteva essere il corpo ma ormai inutili dopo due anni. Per il pubblico ministero Alessandro Cannevale che ha riaperto le indagini – salvo poi arrendersi per assenza di prove – le ragioni della sua scomparsa sarebbero da ricercare nell'”estrema delicatezza di alcuni affari trattati dal magistrato alla Sezione fallimentare”, nella “notevole rilevanza degli interessi economici coinvolti”, nell'”asprezza delle reazioni suscitati dalla ferma e lineare condotta”, nei “contrasti sorti con taluni colleghi”, nella “capacità criminale di taluni dei soggetti interessati alle società che subivano le procedure”. In altre parole, secondo le ipotesi, il magistrato fu ucciso per tappargli la bocca. “Ricordo una frase di papà che diceva ‘a Roma c’è la camorra e non se ne accorge nessuno’, è come se papà avesse visto prima degli altri, che c’era qualcosa che non andava anche a Roma, mentre in quegli anni si immaginava la mafia come un sistema esclusivamente meridionale”, ha commentato la figlia. Un uomo solo Adinolfi, soprattutto nel suo ufficio. “Io penso che questa sua incapacità di arrendersi, questo andare avanti, addirittura lui denunciava come privato cittadino”, ha aggiunto la figlia, “penso che papà sapesse qualcosa o avesse scoperto qualcosa ma non aveva neanche capito quanto fosse grande”. Oggi chiede ancora la verità sul padre.