Paolo Borsellino, strage via D’Amelio: il trentennale

Ricorre oggi 19 luglio 2022 il trentennale della morte di Paolo Borsellino, il magistrato antimafia rimasto vittima di Cosa Nostra nella Strage di via D’Amelio. Con lui morirono anche i cinque agenti della sua scorta. La sua morte ha segnato uno dei numerosi e grandi misteri siciliani ma anche l’ennesima vittima di mafia, anche se attorno alla Strage di via D’Amelio emergono, a distanza di trent’anni, nuovi misteri. Furono appena 57 i giorni che separarono la morte di Borsellino da quella dell’amico Giovanni Falcone, ucciso sempre per mano di Cosa Nostra il 23 maggio 1992 nella strage di Capaci. Dopo l’addio a Falcone, Borsellino sapeva bene che il prossimo a finire nelle mani del male che stava da anni combattendo sarebbe stato proprio lui. Quelli, dunque, rappresentarono i giorni più difficili.



Proprio perché conscio di essere ormai finito da tempo nel mirino di Cosa Nostra, Paolo Borsellino preferì la non si stringesse eccessivamente la protezione attorno a sé per timore che la mafia potesse colpire qualcuno dei suoi familiari. Arrivò così velocemente il 19 luglio 1992 scandito da alcune tappe ormai memorabili: il pranzo a Villagrazia di Carini con la moglie Agnese ed i due figli, Manfredi e Lucia. Poi, insieme alla scorta si recò in via D’Amelio dove vivevano la madre e la sorella Rita. Allo scoccare delle 16.58 una Fiat 126 imbottita di tritolo e parcheggiata nei pressi dell’abitazione saltò in aria uccidendo inevitabilmente il magistrato e la sua scorta. L’unico a sopravvivere alla strage fu l’agente Antonio Vullo, impegnato a parcheggiare uno dei mezzi della scorta.



Paolo Borsellino: misteri e depistaggi dopo la sua morte

Nel trentennale della strage di via D’Amelio, sono ancora molti i misteri che ruotano attorno alla figura di Paolo Borsellino. Chi uccise davvero il magistrato? Sono decine le sentenze che nel corso di questi anni hanno certamente chiarito il ruolo della mafia nell’attentato al giudice Paolo Borsellino pur lasciando ancora senza risposta molti altri interrogativi. Dalle responsabilità esterne a Cosa nostra alle sorti della famosa agenda rossa, il diario che custodiva i segreti del magistrato e sparita misteriosamente. E poi, i nomi degli autori del depistaggio considerato “il più grave della storia repubblicana”. Un depistaggio che, come stabilito anche dai giudici “ci fu” ma che è rimasto senza colpevoli dopo il verdetto dello scorso giovedì che ha dichiarato prescritte le accuse ai due poliziotti accusati di aver inquinato le indagini sulla strage di Via D’Amelio.



A proposito di depistaggio, secondo Massimo Russo, all’epoca dei fatti uno dei sostituti che lavoravano al fianco di Borsellino, i depistaggi sul giudice iniziarono quando lui era ancora in vita. Russo, scrive l’Ansa, ha ricordato nel dettaglio il caso del pentito Vincenzo Calcara che a Borsellino svelò di essere stato incaricato di ucciderlo con un fucile di precisione. Tutto falso: “Non era vero nulla, Calcara non era nessuno nella mafia”, ha dichiarato Russo.

La morte di Paolo Borsellino poteva essere evitata? Parla Musacchio

A ricordare la figura di Paolo Borsellino, 30 anni dopo il suo attentato, è stato anche il criminologo Vincenzo Musacchio, intervistato da Rainews, il quale ha ricordato quali furono le parole dello stesso magistrato prima della sua morte: “Mi uccideranno, ma non sarà una vendetta della mafia, la mafia non si vendica. Forse saranno mafiosi quelli che materialmente mi uccideranno, ma quelli che avranno voluto la mia morte saranno altri”.

A suo dire, non solo Borsellino ma prima ancora anche Falcone si sarebbero potuti salvare dalle rispettive stragi: “Borsellino e lo stesso Falcone sono stati mandati al macello perché isolati e abbandonati da tutti, in primis, da quello Stato che avrebbe dovuto proteggerli ad ogni costo”. E sul perché si decise, dopo Giovanni Falcone, di uccidere proprio Paolo Borsellino, il criminologo si sarebbe fatta un’idea ben precisa seppur inquietante, la quale fa particolarmente riflettere: “La mia opinione che, ovviamente, resta tale è che entrambi stavano per scoprire verità sconvolgenti che andavano ben oltre la mafia”.