Paolo Borsellino e la strage di Via D’Amelio, a 32 anni dall’attentato che costò la vita al magistrato del pool antimafia di Palermo e agli agenti della scorta Agostino Catalano, Emanuela Loi, Claudio Traina, Vincenzo Li Muli e Eddie Walter Cosina restano ancora molti misteri da risolvere. Il caso infatti resta ancora aperto, specialmente in merito alle indagini che Borsellino stava portando avanti dopo l’altro grave attentato quello di Capaci, nel quale morì Giovanni Falcone, e gli appunti che erano stati annotati nella famosa agenda rossa, che non fu ritrovata nonostante fosse all’interno dell’auto il giorno della strage.



Successivamente anche nel processo per la strage di via d’Amelio, con testimonianze false e finti pentiti sui quali ancora si deve fare chiarezza per accertare la vera responsabilità delle dichiarazioni rilasciate in tribunale. Resta poi anche un altro mistero sul presunto tradimento ai danni di Borsellino, probabilmente compiuto da un suo collaboratore, come confermò lo stesso magistrato in confidenza ad alcuni colleghi fidati, quando disse, poche settimane prima di morire: “Non posso credere che un amico mi abbia potuto tradire“. Dettagli mai rivelati per i quali ancora la famiglia di Borsellino chiede verità e giustizia.



Paolo Borsellino la strage di Via D’Amelio: cosa è successo il 19 luglio 1992

Il 19 luglio 1992, una calda domenica d’estate a Palermo, nella tranquilla Via D’Amelio riecheggia un boato, ed è stata una strage.  Le volanti della polizia intervenute subito dopo parlarono immediatamente di una intensa colonna di fumo che si era alzata nella zona facendo scattare l’allarme. Come ricordò anche uno degli agenti in servizio quel giorno: “Sembrava di assistere ad uno scenario di guerra“. Ed in effetti si capì subito che era effettivamente una guerra, quella che la mafia aveva dichiarato ai servitori dello stato, giudici e magistrati che stavano indagando sulla criminalità organizzata. Il fatto infatti avvenne 57 giorni dopo l’altra grave strage di Capaci, nella quale perse la vita Giovanni Falcone e per la quale Paolo Borsellino stava conducendo le indagini.



Tuttavia non riuscì a portare a termine il suo lavoro, proprio perchè la mafia era tornata ad uccidere, questa volta colpendo l’auto del magistrato nella strage di via d’Amelio. Quel giorno, come raccontò la moglie di Paolo Borsellino Agnese Piraino Leto, suo marito si stava recando a trovare sua madre. Poco prima aveva pranzato con la famiglia ma poi era uscito di fretta, dicendo di voler andare da solo, quasi come se avesse un presagio di ciò che stava per accadere.

I misteri sulla strage di Via D’Amelio, l’agenda rossa di Paolo Borsellino e i depistaggi

Tra i misteri che circondano la verità sulla strage di Via D’Amelio, uno degli elementi chiave è l’agenda rossa di Paolo Borsellino. Un taccuino che portava sempre con sè e sul quale annotava tutti i dettagli che emergevano nel corso delle sue inchieste sulla mafia, in particolare dopo l’attentato di Capaci. Perché la domanda che potrebbe chiarire molti dubbi sui mandanti e sulle motivazioni in merito a quanto accaduto è: a cosa stava indagando Paolo Borsellino e soprattutto cosa aveva scoperto?

La risposta è stata per anni negata visto che l’agenda che era nella borsa all’interno dei veicolo usato dal magistrato il giorno della strage di via d’Amelio non fu mai ritrovata. Altri retroscena emersero poi durante il lungo processo, al quale testimoniarono numerosi personaggi che erano stati definiti come pentiti ma che in realtà furono usati per attuare un vero e proprio depistaggio. Tra questi anche 4 poliziotti, accusati di aver dichiarato il falso in tribunale per i quali si è riaperta recentemente l’udienza preliminare, nel corso della quale sono emerse anche nuove dichiarazioni da parte dei figli di Paolo Borsellino che dopo tutti questi anni ancora hanno speranza nelle istituzioni per la ricerca della verità.