La strage in via D’Amelio e la morte di Paolo Borsellino e di cinque agenti della sua scorta
Il tempo si fermò in quel 19 luglio del 1992. Erano le 16:59 quando un boato interruppe una tranquilla e normale giornata palermitana. In pochi minuti via D’Amelio brulicava di sirene, suoni, voci, poliziotti, paramedici e pompieri, fu una strage. Una Fiat 126 era appena esplosa nel parcheggio della casa in cui la madre e la sorella del giudice Paolo Borsellino vivevano. Da tempo quella via era considerata pericolosa, troppo stretta per il transito delle auto, si era ipotizzato di chiuderla al transito e al parcheggio civile, per agevolare e rendere sicuri gli spostamenti del magistrato in un periodo di complesso della nostra storia, ma non fu fatto.
Una decisione che si rivelerà fatale proprio quel fatidico 19 luglio, passato alla storia come il giorno della strage di via D’Amelio, quando un’autobomba uccise Paolo Borsellino assieme a cinque dei sei agenti della sua scorta principale: Emanuela Loi, Agostino Catalano, Vincenzo Li Muli, Walter Eddie Cosina e Claudio Traina. Rimase gravemente ferito, invece, il sesto agente della scorta, Antonio Vullo. Con la morte di Borsellino, che seguì di poche settimane l’attentato che uccise Giovanni Falcone sull’autostrada A29 di Capaci, la mafia aveva inflitto un grande colpo allo stato, uccidendo i giudici simbolo della lotta contro la mafia che era appena culminata con la conclusione del maxiprocesso.
Chi erano gli agenti della scorta di Borsellino: eroi onorati ma spesso dimenticati
Paolo Borsellino morì assieme a cinque agenti di polizia che lo stavano scortando in una delle sue frequenti visite a casa dalla madre. I sei agenti da tempo prestavano servizio nella scorta del giudice, che da anni era impegnato assieme a Giovanni Falcone in una delle più grandi lotte dello Stato contro la mafia. Agnese Borsellino, moglie del giudice, si riferisce a loro come “parte della nostra famiglia”, “era un rapporto, oltre che di umanità e di amicizia, di rispetto per il loro servizio”. Borsellino da tempo temeva per la loro vita e alla moglie confessava che “quando decideranno di uccidermi i primi a morire saranno loro”, da qui la sua decisione di uscire “da solo a comprare il giornale e le sigarette, quasi a mandare un messaggio ai suoi carnefici perché lo uccidessero quando lui era solo e non in compagnia dei suoi angeli custodi”.
I sei agenti, in seguito alla strage in via D’Amelio sono stati insigniti dallo Stato con la Medaglia d’Oro al Valore Civile, e nel corso degli anni a loro sono state dedicate vie, piazze, scuole ed altri edifici e luoghi pubblici. Il capo della scorta era il 43enne Agostino Catalano, sposato con Maria Fontana dopo la morte della sua prima moglie, Maria Pace, dalla quale aveva avuto tre figli. Solitamente assegnato alla scorta di padre Bartolomeo Sorge, il giorno dell’attentato era in ferie, ma fu richiamato in caserma per prestare servizio presso il giudice, al fine di raggiungere un numero sufficiente di agenti. Walter Eddie Cosina era agente della Digos dal 1983, chiedendo poi il trasferimento al nucleo anti-sequestri. In seguito alla strage di Capaci, rispose alla richiesta dello Stato di agenti di scorta da assegnare a Palermo, lasciando Triste dove prestava servizio. Il 19 luglio 1992 sostituì un collega che avrebbe dovuto dargli il cambio, morendo al fianco del giudice e lasciando la moglie Monica.
Claudio Traina e Vincenzo Li Muli: i più giovani della scorta di Borsellino
Claudio Traina è il terzo uomo morto il 19 luglio 1992 nella strage di via D’Amelio che è costata la vita al giudice Paolo Borsellino. Entrò in polizia giovanissimo, dopo aver prestato servizio nell’aeronautica, ad Alessandria. Venne trasferito prima a Milano e poi assegnato a Palermo in seguito ad una sua richiesta. Aveva 27 anni quando morì, lasciando la moglie ed il figlio di 11 mesi, mentre suo fratello, Luciano, fece parte del pool di agenti che catturarono il boss Giovanni Brusca. Vincenzo Li Muli era il più giovane della scorta di Paolo Borsellino ed aveva appena 22 anni quando l’autobomba esplose, uccidendolo sul colpo. Aveva il sogno di diventare poliziotto e nel 1990 ci riuscì, finendo in servizio a Palermo un paio di anni dopo. Fidanzato con Vittoria, non fece in tempo a sposarsi, coronando un altro suo sogno. In seguito alla strage di Capaci, colpito nel profondo dagli avvenimenti, chiese di essere assegnato alla scorta di Borsellino, conscio degli enormi rischi che correva.
Emanuela Loi: la prima donna poliziotto a morire in una strage di mafia
L’agente Emanuela Loi era altrettanto giovane il giorno della strage in via D’Amelio che uccise lei, il giudice Paolo Borsellino e gli altri quattro agenti della sua scorta. Venne descritta come una ragazza solare, sempre sorridente, sbarazzina e spensierata, che da tempo sperava di tornare nella sua Cagliari, lasciata pochi anni prima per prestare servizio a Palermo. Entrò in servizio nel 1989 a Trieste e venne assegnata a Palermo appena due anni dopo. Fu assegnata a ruoli importanti nella lotta alla mafia, dal piantonamento dell’appartamento dell’allora parlamentare Sergio Mattarella, a quello del boss mafioso Francesco Madonia. Dopo la strage di Capaci fu assegnata alla scorta di Paolo Borsellino, perdendo la vita ad appena 24 anni. Lasciò i genitori, un fratello ed una sorella, oltre che un fidanzato con il quale sperava di sposarsi al più presto.