Il cantante Biagio Antonacci conserva un ricordo speciale dell’amato padre Paolo, morto ormai dieci anni fa

Paolo Antonacci era il padre del celebre cantante Biagio. Pugliese di Ruvo di Puglia, il papà dell’artista era una persona molto schiva e riservata. Biagio Antonacci, infatti, non ha mai fatto mistero di aver avuto poco dialogo con l’amato papà, del quale conserva comunque ricordi e momenti davvero speciali. In una bella intervista rilasciata non molto tempo fa a Vanity Fair, l’artista ha parlato del suo passato e della sua infanzia, condividendo aneddoti e qualche pensiero nostalgico.



“Il rimpianto è un ‘ti amo’ mancato, un rapporto umano non esplorato fino in fondo, il pensiero che certe cose avresti potuto affrontarle diversamente, con meno superficialità. A mio padre ‘ti voglio bene’ non l’ho detto tutte le volte che avrei voluto”, ha confessato il cantante. “Con mio padre parlavo pochissimo, soprattutto di calcio, nel tragitto verso San Siro mentre mi portava a vedere l’Inter. Per molti anni la mia Milano è stata soprattutto lo stadio. Mariolino Corso, Ivano Bordon, la curva dell’Inter, lo striscione dei boys”, le parole di Biagio.



Biagio Antonacci e le difficoltà economiche del padre: “Conosco la parola povertà perché…”

Paolo Antonacci si trasferì a Rozzano dalla Puglia, in cerca di fortune. “Papà arrivo a 16 anni dalla Puglia, con due buste in mano e le tasche vuote. Dormiva negli appartamenti in costruzione, viveva di espedienti, cercava disperatamente di far quadrare i conti ogni giorno”, ha raccontato Biagio Antonacci nel corso della medesima intervista. Da piccolo, dunque, ha vissuto le conseguenze della povertà, nonostante l’impegno profondo di papà Paolo per migliorare il tenore di vita famigliare.



“La parola povertà la conosco perché su quella soglia noi e tanti altri siamo stati spesso”. Sempre a proposito della sua infanzia, Antonacci ha raccontato le angherie subite a scuola, essendo figlio di un immigrato. “Ci chiamavano i terroncelli, c’era ancora e c’è tuttora una forma di razzismo spietata, ma sentirci chiamare ‘terunìn’ ci ha fatto diventare forti, ci ha spinto alla revanche”.