Dopo il diffondersi del nuovo termine “ecoansia” spuntato dopo il confronto tra una giovane e il ministro dell’ambiente, riferito alla paura del cambiamento climatico e delle conseguenze sull’ambiente e sulla vita, arriva il commento dello psichiatra Paolo Crepet, che in un’intervista rilasciata all’agenzia AGI si dichiara “infastidito” dalle nuove ansie ingiustificate ed inutili che gli adulti spesso inducono nei ragazzi. Perchè questo non fa che aumentare i disagi già fisiologici e tipici dell’età che sono presenti nelle nuove generazioni. Il discorso dell’ecoansia infatti per il sociologo è soltanto un condizionamento, una preoccupazione trasmessa dagli adulti che per primi provano questa sensazione di instabilità del futuro e della sopravvivenza della Terra.



Tra l’altro Crepet sottolinea come l’accusa che i ragazzi fanno nei confronti dei più anziani colpevoli di inquinare il pianeta sia anche ingiustificata, perchè “Vogliamo invece mantenere questo modo di vivere, fatto d’inquinamento con i nostri stili di vita? Non sono gli ottantenni che inquinano il Pianeta, un 35enne che prende un volo low cost non contribuisce forse a inquinare? Certo che sì. Siamo ormai al marketing dell’ansia”.



Paolo Crepet “Ecoansia produce solo slogan e vittimismo”

L’ecoansia spesso produce solo slogan che restano fine a sè stessi, come afferma Paolo Crepet, “vanno bene sui social, ma dire ‘oddio non arriveremo al 2050!’ resta solo una battuta“, e soprattutto non propone soluzioni concrete, quindi è solo uno “psicodramma“. La stessa ansia fa parte di un grande business che induce spesso a consumare psicofarmaci, senza fare nulla per porre un rimedio. “Mi si dica almeno cosa dobbiamo fare per uscirne. Non possiamo solo contare i nubifragi”, commenta lo psichiatra, aggiungendo che “o ci mettiamo nella parte di chi si preoccupa di ciò che fa oppure siamo ansiosi pensando che siano altri quelli che ci fanno patire e noi siamo solo le vittime“.



In conclusione, Crepet suggerisce di abbandonare l’atteggiamento vittimistico, perchè “fa parte non della cura ma della patologia“. “L’ansia crea ansia, non crea risorse“, ed è inutile far ricadere la colpa sempre su altri, perchè siamo tutti complici “basta dire noi non abbiano colpe! Chi le ha, allora? Questo pianto collettivo non è un’uscita di sicurezza. Anzi, ci ritroviamo in un’altra stanza, peggiore di quella da cui siamo scappati”.