Per un suonatore di dobro (anzi, tecnicamente chitarra resofonica “squareneck”), avere sul proprio disco una dedica di Jerry Douglas, il più importante musicista di questo strumento al mondo, è un po’ come per un chitarrista blues avere una dichiarazione di apprezzamento di Eric Clapton.
Paolo Ercoli, il musicista in questione, ha avuto tale onore sul suo primo disco, Why not, da poco uscito. Douglas è anche uno dei tanti ospiti presenti. Ercoli, conosciuto da tutti gli amanti del songwriting americano perché molto spesso accompagna in tour questi personaggi quando vengono a esibirsi in Italia (per dirne un paio, Steve Forbert ed Eric Andersen) è davvero un fuoriclasse e non solo con il dobro ma anche al mandolino e alla pedal steel. Gli strumenti classici del country e del blugrass per intendersi.
Il disco, ben 14 canzoni, di cui 7 sono sue composizioni originali, è una sorta di antologia musicale che spazia in tantissimi generi della musica americana, songwriting compreso grazie alla presenza di eccellenti vocalist come Claudia Bozzetti, Veronica Sbergia, Max De Bernardo, Camilla Conti, Chris Jones, Kathy Kallock per finire con un ensemble stellare (nel brano che chiude il cd, Someday we will) che vede tutti insieme Jono Manson, Bochephus King, Jared Taylor, Malconce Holcombe e gli splendidi Orphan Brigade.
Un lavoro complesso che lo stesso Ercoli definisce faticoso ma di grande soddisfazione: “Ho orchestrato e messo insieme tanti artisti, è stato bello vedere il prodotto finale”.
Ed ecco allora fare la comparsa, fra gli altri, del già citato Jerry Douglas, Rob Ickes, Justin Moses, Scarlett Rivera, Luke Bulla, Sierra Hull, Frank Sollivan, Chris Jones, Jaime Michaels, Jesse Aycock, Malcolm Holcombe, Tim Grimm, Radoslav Lorkovic, Doug Seegers.
Un disco che si apre con la title track, esaltante strumentale di progressive bluegrass o anche newgrass, una evoluzione del bluegrass originario con l’aggiunta di elementi jazz e progressive. Come detto, una sorta di antologia di scintillanti corde d’acciaio interrotta ogni tanto da sapienti interludi, quasi fosse una suite o una colonna sonora. Ci sono splendide riletture di classici del folk come Scarlet Town (che anche Bob Dylan ha rivisitato in anni recenti) o l’autografo e bellissimo blues spettrale e gotico di The Ballad of Tommy Dixon che vede alla voce Chris Jones impreziosito dal violino “gypsy” della leggendaria Scartet Rivera, con Bob Dylan negli anni 70, e dall’armonica del nostro Jimmy Ragazzon o scatenati rag, come Panhandle rag, ballate country scintillanti come Build Me Up From Bones con la bella voce di Camilla Conti, lo swing anni 20 di Midnight on The Water con la voce vintage della brava Abbe Garnder, dobroista anche lei, che si interseca con quella di Veronica Sbergia.
Un disco godibilissimo, che ci dice come in Italia ci sia ormai una nutrita schiera di musicisti che non ha nulla da invidiare ai maestri americani e che anzi contribuiscono a mantenere viva una brillante tradizione che anche se non nostra, ha colpito al cuore tutti coloro che sono cresciuti musicalmente negli anni 70.