Paolo Ferrua, professore emerito di Diritto processuale penale presso l’Università degli Studi di Torino e uno dei massimi esponenti dell’accademia giuridica italiana, è intervenuto sull’edizione di oggi, venerdì 30 luglio 2021, del quotidiano “Il Dubbio”, per parlare della Riforma Cartabia, imperniata, come noto, sulla Giustizia italiana. Secondo l’esperto, la riforma ha “compiuto una scelta radicalmente errata, decidendo di percorrere la strada dell’improcedibilità come mezzo per assicurare la ragionevole durata del processo nei gradi di impugnazione. Una soluzione a priori inadeguata e fatalmente destinata all’insuccesso, perché i tempi ragionevoli vanno misurati in base alla complessità di ogni singolo processo, che non può mai essere ipotizzata astrattamente”.



Secondo Ferrua, la questione è ancor più critica e ampia rispetto a quanto esposto fin qui, in quanto, se davvero si vuole assicurare l’osservanza del precetto costituzionale sulla ragionevole durata del processo, questo deve allora essere garantito a qualsiasi imputato, a prescindere dal reato che gli viene ascritto. “Nessuno nega che mafia e terrorismo siano emergenze criminose da affrontare con la massima efficienza e severità, ma ciò non significa che gli imputati di quei reati non abbiano diritto a una giustizia tempestiva”, che proprio in tali casi dovrebbe avere tale caratteristica.



PAOLO FERRUA: “IMPROCEDIBILITÀ NON È LA SOLUZIONE”

Nel prosieguo della sua intervista su “Il Dubbio”, il professor Paolo Ferrua ha evidenziato che è evidente che né la prescrizione sostanziale né quella processuale (ora chiamata “improcedibilità“), possono servire alla ragionevole durata del processo, perché non hanno nulla a che vedere con il relativo impegno contemplato nell’articolo 111, comma 2 della, Costituzione italiana. “Con una differenza – ha precisato Ferrua –: la prescrizione sostanziale come causa estintiva del reato non contrasta con alcuna disposizione costituzionale. Dichiarando estinto il reato, segna la fine del processo con una decisione che è, almeno parzialmente, di merito”.



Al contrario, l’improcedibilità rappresenta “la più nichilistica e vuota delle conclusioni”, poiché dissolve il processo, lasciando in vita e priva di risposta l’ipotesi di reato: “Il mio timore – ha chiosato Ferrua – è che sul valore di questa disposizione cada un gran discredito, coinvolgendo l’intera disciplina costituzionale del processo”.