L’apertura della prima traccia, quindi l’apertura del disco stesso, ha un impatto formidabile. Un’orchestra dal suono antico, romantico, pieno di nostalgia. Si viene catapultati in un mondo antico, la canzone degli anni 60, i momenti migliori del Frank Sinatra orchestrale. E’ il primo segno che siamo davanti a un disco che non ha nulla a che fare con quanto passa il convento oggigiorno. Un tempo, fino agli anni 80, l’Italia era un paese di grandi produttori, che resero un servizio fantastico a tanti cantautori e cantanti. Poi le case discografiche, nella pazzia che le ha portate all’estinzione (anche per altri motivi) li ha eliminati, riducendo tutto a un suono pianificato ai computer, tutto uguale, in base a come il marketing indirizzava la produzione.
Paolo Jannacci è l’ultimo di quella grande stirpe. Lo aveva già dimostrando producendo e arrangiando diversi dischi del padre, facendo di loro i migliori della discografia di Enzo Jannacci. Adesso, dopo anni in cui si è cimentato con ottimi dischi jazz (speriamo ne faccia ancora) di livello internazionale, all’età di 47 anni decide di esordire come cantautore. Una scelta impegnativa, come per ogni figlio d’arte, che si trova appiccicato addosso un cognome pesantissimo. Per fortuna Paolo è dotato di grande autoironia, non si prende sul serio. Il risultato è comunque un disco che gode di sonorità straordinarie, come non se ne trovano più in giro, e di una manciata di belle canzoni.
“Ho provato a mettere in sintonia tre generazioni diverse…, quella di mio padre, la mia (dei Silvestri, Gazzè…) e quella di oggi dei ragazzi legati all’indie pop” dice lui, ma noi riteniamo che ci sia di più, molto di più. Come la traccia iniziale, che intitola il disco, un manifesto di intenti, che dopo quella potente apertura orchestrale sfuma in una ballata dai toni jazz per voce e pianoforte. Soprattutto Paolo Jannacci risulta credibile: “Canterò Magari una canzone Di quelle che Che cantava anche mio padre In lingua madre La lingua delle strade Quel bianco e nero che non si vede più E canterò e suonerò Sì ma attenzione a non strafare Ma cantare e poi suonare, poi cantare”. Una esigenza di vita, non un obbligo.
La traccia successiva, Troppo vintage, mostra tutta la ricchezza musicale di cui Jannacci è capace: è un bel funk ritmato, un’ottima chitarra elettrica lavora ai fianchi, vengono in mente certi pezzi del Battisti di metà anni settanta. L’inserto rappato di J Ax non disturba, anzi, è eseguito in modo discreto e arricchisce il brano. Anche qui non ci sono certezze, ma domande. Cose semplici forse il brano migliore, è di nuovo una jazz ballad, voce e pianoforte, atmosfere intime e notturne: saper guardare le cose semplici, gli oggetti comuni che hanno una storia, guardare la realtà.
Jannacci si mette a nudo, non si parla addosso, si interroga, come nella ariosa Alla ricerca di qualcosa, brano pop di grande intensità: “Che triste questo mestiere se il telefono non suona poi la vita ti sorride perché un amico ti perdona quello che conta è andare avanti senza pensare troppo ai santi quello che conta è una carezza”. Quella carezza…
Mi piace vede la partecipazione parlata di Claudio Bisio, e se è vero che sia il tono che il modo di intervenire stralunato e confusionario ricorda il padre Enzo, ci sta. L’impressione che Paolo sfrutti la lezione del maestro è fugata se uno sa quanto i due fossero in simbiosi, nella vita e nell’arte. Musicalmente un pezzo dal gran tiro: R&B con fiati e uno sgargiante organo Hammond in evidenza. Pizza è un divertente rock’n’roll quasi twist, con fiati in evidenza.
Il disco inevitabilmente contiene anche due brani di Enzo, un classico come E allora concerto e la meno nota Fotoricordo… il mare. La prima ha un suono potentemente rock e Paolo si produce in una grande performance vocale, in crescendo, incarnando la solitudine dei tanti oggi che sono emarginati da una società dove la competizione è la misura dell’essere. C’è, infine, anche una bella ripresa di Luigi Tenco, Com’è difficile. Paolo Jannacci si muove in tutto il disco con disinvoltura, quella di chi conosce la musica in ogni sfumatura e ha, in un mondo sempre più abbruttito, un messaggio di gentilezza e simpatia da consegnare. Per cui ha ragione a dire: “A questo punto, vi posso dire che sono soddisfatto. Ho dato il massimo e vi dedico questo album e questo pezzo di vita con tutto il mio cuore.”