Paolo Picchio torna instancabilmente a parlare di cyberbullismo e di cyberbulli dopo il suicidio di sua figlia, la 14enne Carolina a cui non ha mai smesso di pensare un solo istante. “La sogno spesso, mi dà la forza di andare avanti e la dà a tutti noi della Fondazione” ha ammesso nell’intervista che ha concesso a Quotidiano Nazionale.  Paolo Picchio riconosce che rispetto al 2013, quando Carolina si suicidò per un video intimo dato in pasto al web senza il suo consenso, oggi “c’è più consapevolezza sul tema, ma si è pure abbassata l’età dei cyberbulli: dieci anni fa avevano 15 anni, adesso dai dieci ai tredici. Anche le vittime sono più giovani, e di conseguenza più fragili”.



Paolo Picchio confessa che “io e Carolina parlavamo spesso, ma visto che a me lei sembrava una ragazzina forte e vincente – oltre che nello sport anche nelle emozioni –, non ho immaginato il suo dolore. Sicuramente la ascolterei e le parlerei molto di più, farei di tutto per fermare il calendario al giorno prima e tenerla con me”. Il papà di Carolina Picchio ammette che “l’unica cosa che mi ha salvato è stata Carolina” e per questo motivo “devo portare avanti il messaggio che ha lasciato nella sua lettera d’addio. Devo salvare tutti i ragazzi che posso, è una specie di calmante per me“. un antidoto contro il dolore.



Paolo Picchio: “Carolina era sensibile, oggi sarebbe una psicologa”

Carolina Picchio si suicidò ad appena 14 anni nella notte tra il 4 e il 5 gennaio 2013, dopo che un video intimo era stato diffuso sui social, rendendola l’oggetto di migliaia di commenti offensivi. Un peso forse troppo grande da sopportare. “A pensare che avrebbe 24-25 anni mi viene la pelle d’oca. Sarebbe una bellissima psicologa, perché amava interagire con gli altri – confessa Paolo Picchio a Quotidiano Nazionale –  Ogni tanto nei pomeriggi mi diceva: papà, esco perché una mia amica ha problemi d’amore e voglio aiutarla. Aveva una sensibilità superiore alla media e questo l’ha distrutta: aveva capito che stava subendo un sopruso devastante“.



E riconosce che “noi adulti sottovalutiamo la gravità delle offese in chat o sui social ai nostri figli. Non ci rendiamo conto del dolore e del disagio che avvertono: sono peggio delle coltellate. Poi, quando i ragazzi si aprono, non siamo pronti ad accoglierli e banalizziamo, magari rispondendo ’è stata colpa tua’. Così il dolore persiste e la chiusura diventa totale“. E sul futuro della lotta al cyberbullismo ha le idee molto chiare: “serve una formazione continua sul cyberbullismo, una svolta educativa e sociale: il mondo virtuale è quello reale ormai. I giovani non comprendono i limiti: quando fanno le challenge estreme per ottenere consensi, provano forti emozioni, ma rischiano anche la vita“.