Mercoledì 6 novembre eravamo in quattro con Paolo Pillitteri al solito ristorante vicino a casa sua in via Marcona, una tradizione che si tramandava, quando era possibile, da anni. Si parlava anche della festa del prossimo compleanno di Paolo, il 5 dicembre: un pranzo tra i reduci di quello che era stato il socialismo milanese, spazzato via, con una brutalità giuridica basata sul codice penale varato nel 1931 da Alfredo Rocco (controfirmato da Benito Mussolini e Vittorio Emanuele III), all’inizio degli anni Novanta, da quell’operazione, che qualcuno paragonò all’etica di uno stato komeinista, e che fu battezzata “Mani pulite”.
Giovedì 5 dicembre, al posto di essere in un ristorante più grande e più noto, Paolo Pillitteri è morto alle nove circa di mattina all’ospedale San Raffaele. Il destino ha scelto la sua data di nascita (5 dicembre 1940) per la sua morte (5 dicembre 2024), che ha posto fine alle sue sofferenze di anni, non solo fisiche per le malattie contratte, ma per una storia che diventerà una delle pagine più oscure del cinismo, del settarismo e della fatale stupidità italiana.
Già adesso si può paragonare cos’era la Milano con Pillitteri sindaco dal 1986 al 1992, quella che sbrigativamente fu definita “la Milano da bere”, con quella attuale. Già adesso si può ancora paragonare, visti i risultati complessivi, la popolarità della magistratura, “santificata” allora dal 90 per cento degli italiani negli anni 90 e ridotta a una credibilità del 30 per cento in questi anni “etici”. Chissà se c’è qualche milanese e qualche italiano che si pone queste domande, che si chiede il perché di quanto accaduto oppure preferisce “premiare” le classi dirigenti di questi ultimi trent’anni con una partecipazione al voto inferiore al 50 percento.
È difficile per un amico stendere un articolo di ricordi sul sindaco di Milano Paolo Pillitteri. Si passa inevitabilmente dall’amicizia privata, familiare, quotidiana, di vita a quella della comune vita politica.
Pillitteri è stato un uomo molto colto, dotato di grande umanità. È stato un difensore dei diritti civili, tanto da contribuire in anni molto difficili a valorizzare Milano nel mondo attraverso le arti, la cultura, la moda, l’economia e il design. Ha scritto giustamente l’Avvenire che fu anche un grande “diplomatico”: “come quando accolse in città, il 1° dicembre 1989, il presidente dell’allora Unione Sovietica Michail Gorbaciov e la sua consorte Raissa, facendo fare alla coppia una passeggiata nelle vie del capoluogo lombardo, ricevendo dai cittadini affetto e simpatia”.
Ma Pillitteri non aveva solo grande capacità politica e sapeva fare seriamente il sindaco. Alla fine, facendo un sintetico bilancio storico, Pillitteri è l’ultimo grande sindaco socialista riformista di Milano.
Un’autentica “scuola” cominciata nel 1914 con il sindaco Emilio Caldara (a quell’epoca il Corriere della Sera battezzò quell’elezione “Barbarossa a Palazzo Marino”, ma poi, dopo qualche anno, sentì il dovere di scusarsi per l’operato esemplare di quel sindaco), proseguita con Angelo Filippetti e ripresa dopo il periodo fascista con Antonio Greppi, Virgilio Ferrari, Gino Cassinis, fino a Carlo Tognoli, e appunto Pillitteri e infine Piero Borghini, che non ebbe il tempo di proseguire quella grande tradizione, perché una toga gridava “resistere, resistere, resistere”. Lo ringrazieranno ancora, per quella “resistenza” corporativa, la stessa Giorgia Meloni e tutti i “maestri” di politica di sinistra e di destra che l’hanno preceduta e indirettamente favorita nella sua scalata a Palazzo Chigi.
Ma si diceva che Pillitteri non fu solo un grande politico e un grande sindaco. Era un appassionato di cinema e un regista. Realizzò Milano o cara sull’immigrazione nel 1963. Fu un grande giornalista e scrisse libri su Anna Kuliscioff, “la bella russa” compagna di Filippo Turati, che a Milano molti avevano quasi dimenticato.
Lavorammo insieme a Milano per un giornale, l’Opinione: prima nel suo vecchio ufficio al terzo piano di piazza Duomo 19, poi in uno stabile di via Montegrappa, infine in uno studio di uno stabile del Vigentino. Nonostante le vicende politiche italiane andassero sempre peggio, la politica era sempre la passione principale.
In più, per Paolo, c’era stato il 1965, quando aveva sposato Rosilde Craxi, la sorella di Bettino e quindi, lui, essendo il cognato dell’uomo di Hammamet, sembrava il bersaglio preferito dell’antisocialismo che dilagava tra la magistratura, la grande maggioranza post-comunista (quella mantenuta dall’oro di Mosca) e la dilagante stupidità dell’Italia del “re dei bamba”, appellativo che Enrico Cuccia, il grande banchiere, aveva assegnato a Romano Prodi per le sue maldestre privatizzazioni, per la globalizzazione affrontata a casaccio, per i suoi governi dalla durata minima, per l’operazione del cambio lira-euro operata in Europa, per l’accettazione di una finanziarizzazione che stiamo adesso pagando in modo disastroso e l’accettazione di un capitalismo senza regole.
Dopo le analisi politiche, ci si rifugiava nei nostri ricordi. Paolo, valtellinese, aveva una venerazione per sua madre Zelia, che personalmente ritenevo la regina di quella grande casa di Postalesio. Poi c’era il ricordo di suo padre Armando, maresciallo dei carabinieri di origine meridionale che si schierò con i partigiani. Pillitteri aveva studiato, se non ricordo male, prima dai salesiani, poi a Milano si iscrisse al Liceo Berchet e lì fu allievo di don Luigi Giussani, che lo aveva affascinato per il suo modo di dialogare con i giovani. Anche la moglie Rosilde, la sorella di Craxi, frequentava il Berchet, ma probabilmente Paolo e Rosilde cominciarono a frequentarsi alla Statale di Milano, dove Paolo studiava lettere e Rosilde giurisprudenza.
Personalmente ho conosciuto Rosilde al “baretto” di via Sant’Antonio, dove andavano gli studenti della Statale. Era una persona di squisita gentilezza, che morì nel 2017, ricordata sempre con amore infinito dai suoi figli Maria Vittoria e Stefano. Laureata in legge, Rosilde aveva lavorato con suo padre Vittorio, prefetto di Como dopo la caduta del fascismo, avvocato che durante il regime ospitava in casa sua ebrei e socialisti come Pertini e Lelio Basso.
Paolo, a quasi 82 anni, si è risposato con Cinzia Gelati, che lo ha assistito fino alla fine.
Ammalato e provato dalle esperienze dopo il ’92, Paolo restava alla fine sempre ironico e divertente nella sua intelligenza e competenza politica e letteraria. Riusciva sempre a scherzare, anche nei momenti più tristi.
L’ho visto solamente furibondo e poi rassegnato nel 2000, quando l’ineffabile Procura di Milano non gli concesse recarsi ad Hammamet per partecipare al funerale di suo cognato Bettino Craxi perché implicato in un processo che si risolse quasi in un nulla di fatto. La nuova Italia non si smentiva in continuazione. La Procura di Milano proibiva a Pillitteri di partecipare al funerale di Craxi e la Presidenza del Consiglio, a Roma, proponeva per il presunto “latitante” Craxi un funerale di Stato a Tunisi. Un Paese in delirio latente.
Pillitteri e tutti noi andammo al Cimitero Monumentale sulla tomba di Turati e Anna Kuliscioff. Al termine di quella terribile giornata, Paolo cercò di trovare la forza di scherzare e mi disse, nel suo modo ironico, che cerca di essere esuberante e riservato allo stesso tempo: “Allora, novità? Dài, Gigi non viviamo in un Paese serio”.
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