PAOLO ROSSI, IL RICORDO DI ENZO JANNACCI: “POTEVA VINCERE IL NOBEL MA…”
Paolo Rossi sarà protagonista questa sera nel salotto di Peter Gomez nella nuova puntata de “La Confessione”: il 71enne comico e cabarettista, figura poliedrica sulla scena del teatro e della televisione nostrana, si racconterà infatti nel talk show in onda su Rai 3, prendendo le mosse dallo spettacolo che al momento lo vede in scena (“Questa sera si recita a soggetto. Il metodo Pirandello”) per poi parlare anche di una carriera oramai lunghissima e che l’ha visto partire dal mitico ‘Derby Club’ a Milano per arrivare a un successo oramai nazional-popolare grazie a monologhi, e personaggi, indimenticabili. Proviamo a ripercorrerne brevemente proprio la carriera, riprendendo anche un paio di interviste molto significative concesse di recente e che ne sintetizzano molto bene il pensiero.
Classe 1953 e milanese d’adozione, tuttavia Paolo Rossi è nato a Monfalcone, in Friuli, il futuro conduttore televisivo, cantante e regista ha vissuto anche a Ferrara, dove si era diplomato perito chimico, prima di esordire nei club e spettacoli di cabaret e successivamente a teatro. Dopo aver recitato pure con la compagnia del Teatro dell’Elfo e le esperienze con Gabriele Salvatores, Gino & Michele e Claudio Bisio, il comico aveva cominciato a farsi conoscere negli Anni Novanta pure dalla vasta platea del piccolo schermo partecipando allo show di culto “Su la testa!”, poi partecipando al Festival di Sanremo in coppia con Enzo Jannacci (ci torneremo sulla loro amicizia) nel 1994 e diventando pure una presenza ricorrente per programmi quali “Il Laureato”, “Mai Dire Gol” e “Che Tempo Che Fa” di Fabio Fazio. Ed è proprio il suo rapporto col cabarettista e pianista, oltre che uno dei simboli della milanesità contemporanea, al centro di una intervista che Paolo Rossi aveva concesso a ‘The Hollywood Reporter’.
ROSSI SU CENSURE E DIVIETI, “E’ IN CORSO UNA GUERRA PSICHICA E IO…”
Infatti, parlando del compianto Enzo Jannacci con Boris Sollazzo, Paolo Rossi (protagonista del biopic dedicato proprio al collega scomparso nel 2013), aveva raccontato quali era uno dei principali insegnamenti avuti da cotanto maestro: “In un paese davvero democratico l’artista deve avere il diritto di dire anche quello che non pensa, facendosi carico di tutti i pensieri non chiari che sente nell’aria” aveva spiegato, aggiungendo che Jannacci, come Dario Fo, avrebbe potuto certamente vincere il Premio Nobel. “Questo film è una testimonianza importante sul valore di Enzo, su uno che è diventato un genio solo post mortem secondo molti di quelli che prima invece dicevano ‘fa casino, è troppo imprevedibile, è troppo fuori dagli schemi, è inaffidabile’…”. Adesso è morto, non disturba più, e può essere celebrato” è il rimpianto di Rossi.
E sempre in quell’intervista con ‘The Hollywood Reporter’, Paolo Rossi aveva fatto il punto sulla comicità in Italia, ammettendo che il suo livello di recente era “drammaticamente scaduto”, con la sua banalizzazione e appiattimento causato da vari programmi televisivi che tuttavia non nomina. Argomento a cui, tra l’altro, il 71enne cabarettista si era ricollegato qualche tempo fa parlandone in un’altra chiacchierata con ‘il Fatto Quotidiano’ e tirando in ballo il politicamente corretto che, a suo dire, mina la creatività per via dell’auto-censura. “La cultura oggi è l’oppio del popolo pubblico come lo era un tempo la religione, con tanto di norme, divieti e consigli sui comportamenti”. La soluzione? A detta dell’attore è solo quella di “raccontare storie a volte deliranti, parzialmente inventate, perché gratta gratta sotto c’è un’ulteriore verità. È il mio mestiere, il mio dovere di contastorie. C’è in corso una guerra psichica, e la prima strategia è cantare l’inno del nemico e togliergli forza!”.