Paolo Rossi, attore, comico e cabarettista, si racconta ad Avvenire. Dopo aver presentato il suo ultimo spettacolo, a Milano, torna indietro nel tempo e con un flashback ritorna alle sue origini: “Mio nonno arrivava da Corleone e sposò mia nonna, una ragazza di Fiume: un’unione tra la lupara e il kalasnikov che rimane un mistero che non è riuscita a svelare neanche mia figlia Giorgia scrivendo il libro ‘Chissà se è vero. Storia forse apocrifa della nostra famiglia’. Nonno a Monfalcone aveva fondato una filodrammatica che all’epoca era il teatro fatto da semiprofessionisti e avendo conosciuto personalmente Rosso di San Secondo, grande allievo di Pirandello, mise in scena Stasera si recita a soggetto. Però quando gli dissi che mi sarebbe piaciuto fare l’attore mi convocò d’urgenza nel suo studio e con voce da teatrante retorico mi disse mettendomi la mano sulla spalla: «Paolo, tu suoni bene la chitarra (ero e sono rimasto sempre un onesto strimpellatore) e poi il futuro è nel chimico». Lui lavorava alla Solvay, mio padre pure, e io se non avessi trasgredito al consiglio del nonno da perito chimico ero destinato a seguire le loro orme”.
Niente perito chimico: Paolo decise di fare l’attore. “A Ferrara, dove vivevo in un crocevia tra la parrocchia in cui inizio a montare i primi spettacoli, il bar sport e un circolo anarchico. Saltabeccavo leggero da un posto all’altro. Quando poi mi sono spostato a Milano il bar sport era un po’ equivoco, la parrocchia giusta non la trovai e così sono finito in Lotta Continua. Ma con i compagni fui subito chiaro: io alle manifestazioni non mi metto in prima fila. Quindi mi buttai sul teatro, spettacoli in cantina, nelle case e nelle fabbriche occupate… Poi sono passato ai corsi serali del Piccolo Teatro dove si faceva commedia dell’arte e laboratori stile Living Theatre che mi hanno forgiato e permesso di attraversare indenne gli anni di piombo, che io da perito chimico considero come Erri De Luca «Anni di rame»”.
Paolo Rossi: “Enzo Jannacci un uomo dolce, l’amico migliore”
La prima grande esperienza teatrale per Paolo Rossi è stata alla scuola teatrale di Dario Fo. “Un gigante oltre il Nobel, diventato genio solo post mortem perché da vivo l’avevano bollato come “troppo irregolare”. Dario Fo era un generoso, mi dava consigli da cassetta degli attrezzi che con il tempo ho imparato a utilizzare sempre meglio. Gli ultimi anni Dario mi impressionava per la resistenza fisica sul palco, oggi so che mentre da giovane sprechi tanta energia, a una certa età invece lavori in surplace, come faceva lui: sembra che hai più energia di quando ne avevi in eccesso” spiega ad Avvenire. “Devo ringraziare Dario Fo e quei maestri che ho incontrato da giovane, perché mi hanno permesso di entrare e restare nel teatro e fare la vita del “ladro” che agisce alla luce del giorno. Se avessi avuto il coraggio di fare una rapina non avrei fatto il teatro, che poi è la stessa cosa, anche chi va in scena come me pensa ad ogni replica: «Faccio l’ultimo colpo e poi basta!». E quando mi chiedono: ma come si fa a portare i giovani in teatro? Allora gli rispondo: è semplice, basta proibirlo” racconta.
Al cabaret, con l’allegra brigata jannacciana, in platea c’erano anche ladri e criminali. Rossi, ad Avvenire, rivela anche un retroscena: “Una sera ebbi l’ardire di fare al tipo seduto in prima fila: scusi, ma lei non ride? Quello si mise la mano nella tasca della giacca, tirò fuori il “ferro”, la pistola, e la mise sul tavolo dicendomi con sguardo truce: «No, non mi fai ridere». Io ci pensai su un attimo, poi con fare altrettanto duro gli risposi: d’accordo, lo spettacolo finisce qui. E me ne andai, devo dire leggermente sudato”. Nella vita di Paolo Rossi anche una lunga amicizia con Enzo Jannacci: “Era un mondo, un uomo dolce, l’amico migliore che però all’occorrenza sapeva diventare anche insospettabilmente “animalesco”. Tipo quella volta che uscendo da un locale ci imbattemmo in un dobermann ferocissimo che ci sbarrava la strada. Io ero terrorizzato, Enzo invece che fa? Si avvicina, calmo, prende il muso di quella bestia tra le mani e con un tono che non ho mai dimenticato e credo neanche il cane, gli dice: «Se non ti sposti ti succhio il cervello dall’orecchio». Quel giorno ho imparato che, nella vita come in scena, il tono è tutto. E più di quello che dici, conta sempre come lo dici”.