Paolo Rossi. Aveva in dote il cognome delle pubblicità, quello che quando lo senti pensi sempre sia stato inventato a fini commerciali: Rossi. Unica differenza è il nome: alla televisione è il signor Mario-Rossi, a Vicenza è il signor Paolorossi. Scritto così, tutto attaccato come si pronuncia per non confonderlo. Perché, al posto di signor, meglio l’annuncio della storia completa dell’uomo: il nome dice l’unicità, il cognome dice la discendenza, l’appartenenza. Anche gentilezza: “Una parola gentile è come un giorno di primavera” recita un proverbio russo.

Paolorossi, Pablito, era un proverbio fatto carne: il vicino della porta accanto, il sorriso quasi imbarazzato, immagine della fragilità. “Attenzione, fragile!” poteva stare appeso, come in una confezione che contiene un vaso di Murano, al suo fisico. Perché con tre menischi in meno – già uno è troppo – o sei un fuoriclasse o il destino saranno le pantofole. Paolorossi lo era: “Ti sarebbe piaciuto incontrarlo, era uno di quelli che fanno innamorare gli sbruffoni come te!” mi ha detto un amico alla stazione, annunciandomi la morte. Piangeva, come si piange l’amico più caro.

A Vicenza è arrivato com’è arrivato Giotto a Padova: da forestiero, da una città ch’era più in basso nell’Italia (“Vien da sotto il Po, diciamo da queste parti”), lasciò traccia di sé per i secoli a venire. Giotto ricambiò Padova con la Cappella degli Scrovegni, Paolorossi disse grazie a Vicenza facendo urlare il suo storico stadio Menti: “L’urlo del Menti”, versione provinciale di quello di Munch.

È stato il nostro Maradona, tolti gli eccessi da divo che non gli appartenevano. Di Diego non aveva certo la classe, ma amando la nebbia della Val Padana ha saputo far breccia nella porta avvalendosi dell’istinto, dell’improvvisazione, riemergendo da una mischia all’improvviso. Il Veneto operaio non ha mai amato i Supereroi, ma impazzisce per l’operaio che, imparata l’arte a forza di ore straordinarie, la mette da parte e rischia l’avventura del mettersi in proprio.

“Si faceva trovare al posto giusto nel momento giusto” hanno cercato di spiegarmi al bar per farmi capire la sua classe sotto-porta. Qualcuno, tra i rivali, sarà stato di certo più veloce di lui, che non era il più veloce. Però ha toccato la velocità perfetta, ch’è molto di più: “Velocità perfetta non significa mille miglia all’ora, né un milione di miglia, e neanche vuol dire volare alla velocità della luce – scrive Richard Bach nel suo Il gabbiano Jonathan Livingston –. Perché qualsiasi numero, vedi, è un limite, mentre la perfezione non ha limiti. Velocità perfetta vuol dire solo esserci, esser là”. Esserci quando la palla arriva, la vita passa, la storia chiama a raccolta per andare in campo. Una parola gentile è un giorno di primavera anche d’inverno.

Sceso dal carrozzone a 31 anni – dopo aver purgato l’onta di scommesse – non tornò mai, ogni giorno, a portare mazzi di fiori sulla lapide del passato: scelse, ancora una volta, la vita. Quella vera, semianonima, familiare. Una casa in collina, dei figli da accudire, un passato da tenere acceso senza violentarlo a tutti i costi. Quand’è ritornato, è sempre tornato da Paolorossi: schivo, educato, mondiale. Come quel mondiale vinto nell’82, quelle mani alzate sul viso pulito, il tocco di gentilezza sempre a portata di mano. L’uomo che permise di far dire al presidente Sandro Pertini: “Con questi azzurri non ce n’è per nessuno”. Detto al Re Juan Carlos: con cognizione di causa. Niente tatuaggi, orecchini, nessuna (s)capigliatura: è possibile arrivare in alto con la sola forza del goal, senza artifizi costumistici.

Chi scrive non ha mai conosciuto di persona Paolorossi, non è mai entrato al Menti di Vicenza. In vita sua ha tifato solo e soltanto Roberto Baggio. Un altro che, come Pablito, è così nel cuore di Vicenza da considerarlo parte dell’arredamento, nel senso più architettonico del termine. La città del Palladio, di PaoloRossi, Roberto Baggio. Della Madonna di Monte Berico. C’era anche Baggio al funerale: “Sii gentile quando è possibile. È sempre possibile” disse un giorno il Dalai Lama. La gentilezza è la forma di ecumenismo più umana.