Il 5 Luglio 1982 (ed anche l’11, giorno della finalissima a Madrid) è una di quelle date in cui tutti ricordano dove e con chi erano. Io avevo più o meno l’età che ha oggi mio figlio ed ero a casa di amici, a Minturno, nella grande pineta, costeggiando la quale si arriva sul lungomare di Scauri, nei pressi del Lido Mario. Era lì che andavo con i miei genitori. La partita si giocò di pomeriggio, le spiagge infatti si svuotarono presto, poco dopo ora di pranzo. Ci si organizzò nelle case, qualcuno portava sedie, altri da bere. Tutti concentrati, come se in campo dovessero andarci loro.

Vi era, in realtà, un sottofondo di rassegnazione, il Brasile era la favorita per la vittoria finale. Quello che avvenne al Sarrià di Barcellona fu, invece, una trama perfetta. Persino il goal (validissimo) annullato ad Antognoni, quello del 4 a 2, in un certo senso rese unica quella partita, così identificandola, nella memoria di tutti ed in modo esclusivo, nella  tripletta di Paolo Rossi. Se Maradona era il Calcio, Pablito, Pallone d’oro ’82 (massimo riconoscimento calcistico a livello individuale), ne fu e ne sarà una pagina storica. Già protagonista assoluto nel ’78, in Argentina, alla sua immagine, dopo i Mondiali di Spagna, fu associata, per alcuni anni, quella dell’Italia. Una sorta di lasciapassare, quando facevi il suo nome, da Parigi a New York, ancor di più del suo presidente (di fatto), il cosmopolita Avvocato Gianni Agnelli.

Rossi divenne un’icona, venerata anche dal rocker Rod Stewart, che si fece immortalare in foto con la sua maglia. Dava l’idea, più di altri calciatori, di uno che sapeva stare al mondo. Era uno di classe. Colto, sobrio, con quell’elegante senso dell’umorismo, ironico al punto giusto. Come i suoi amici Platini, Tardelli, Bruno Conti, Boniek, Gianluca Vialli e tanti altri di quell’epoca. “Paolo Rossi era un ragazzo come noi”, cantò poi anche Antonello Venditti.