“Cambiare è possibile, per i mafiosi, come lo è stato per me”: a dirlo è Paolo Setti Carraro, che dopo la morte della sorella Emanuela nella strage di via Carini a Palermo, il 3 settembre 1982 quando fu ucciso il generale Carlo Alberto Dalla Chiesa – suo marito – insieme all’agente di scorta Domenico Russo, ha intrapreso un percorso personale di redenzione dalla rabbia e dal senso di vendetta. Chirurgo prima al Policlinico di Milano e poi all’estero – per 13 anni in zone di guerra – dal 2016 il medico è volontario nelle carceri di media e massima sicurezza. Tutte le settimane incontra i detenuti insieme agli amici del “Gruppo della trasgressione” e si impegna in prima persona nelle carceri di Opera e in quelle di San Vittore a Milano e di Parma. L’obiettivo è quello di spingere sul recupero umano e sociale dei detenuti.
Paolo Setti Carraro, ad Avvenire, spiega: “La mia è una sfida alla morte, come quando curavo i malati di tumore che allora erano ritenuti inguaribili”. Alcuni detenuti hanno storie criminali come quelle degli assassini di sua sorella. “Se il periodo mi venisse chiesto, lo accoglierei volentieri” spiega il medico. “Li incontrerei però da solo, in un ambiente privato, come esseri umani e sullo stesso piano, senza gradini tra noi, in condizioni di parità. Il criminale che si pente davvero ha un valore enorme, è come se avessi rimosso un macigno dalla sua coscienza. E dalla nostra. Ma è sempre un processo lungo e doloroso. Poche volte è stato possibile ma si è trattato sempre di esperienze bellissime. È un’occasione di crescita per tutti, anche per noi”.
Paolo Setti Carraro: “Nelle carceri italiane si toglie l’affettività ai detenuti”
Nel 1982 Paolo Setti Carraro perse la sorella, Emanuela, nella strage che a Palermo costò la vita al generale Carlo Alberto Dalla Chiesa. Lui, ad Avvenire, raccontando la sua esperienza come volontario nelle carceri, spiega: “Il pentimento consiste nell’avere consapevolezza e responsabilità del danno causato alle persone ‘offese’ e alle loro famiglie, a sé e alla società intera. E non deve essere un alibi, un modo per ottenere uno sconto di pena. Stando con i detenuti comunque ho imparato che si ha sempre a che fare con la povertà, non solo economica. È come se facessi opera di maieutica: aiuto, insieme ad altri, a far venire fuori ciò che di buono esiste nell’animo umano. Contribuiamo a recuperare la dignità in quelle persone che qualcuno vorrebbe invece chiuse per sempre in cella, con la chiave buttata via”.
Secondo il medico anche gli ergastolani e i criminali che si sono macchiati dei reati più gravi “capiscono di valere molto di più delle loro originarie limitazioni” quando qualcuno li guarda con fare umano. E cominciano così “a svegliarsi le loro coscienze spente, addormentate. E noi ci implichiamo sempre con chi decide di intraprendere un percorso di questo tipo. Magari perché ha visto i risultati su un suo compagno di detenzione.” A detta di Setti Carraro la situazione nelle carceri italiane è tragica: “Si toglie loro, oltre che la libertà personale, l’affettività e la possibilità di esercitare una genitorialità responsabile. Dietro le sbarre si dovrebbe stare come in un albergo a tre stelle. So che questa è una provocazione ma voglio dire che no si dovrebbero aggiungere altri dolori alla sofferenza dello stare dentro perché si deve scontare una pena”.