Si può sigillare la giornata di ieri, in Portogallo, partendo da Parque Tejo, la distesa umana che umiliava il Tago con il suo ondeggiare ritmato, circondando Francesco di umori e musica. Oppure si può riavvolgere il nastro e decidere di raccontare il sabato affollato del pontefice partendo dal cuore della fede lusitana. Da “Cova da Iria”, il luogo dove nel 1917 la Vergine scelse di apparire a tre bambini, Lucia, Francesco e Giacinta. A Fatima il Papa ha ritrovato la Madre, in attesa, in un angolo di quel recinto di preghiera che è la spianata su cui si affaccia il Santuario. Ed è stato con lei. In cerca forse di una carezza o di un buffetto al cuore vecchio ma non stanco, provato dal dolore del mondo eppure indomito.



Tra il popolo di Maria, ha recitato il rosario, Ave Maria, dopo Ave Maria, senza mai staccare gli occhi dal volto amato. Con lui giovani dai muscoli e le voci deformate, feriti dalla malattia o dalle grate del carcere. Separati dagli altri, distanti per costrizione fisica o colpa da espiare. Comunque diversi. A volte scartati. Intorno la devozione mariana, i volti rugosi della gente dell’interno portoghese, uomini e donne di ogni età, in preghiera, spesso accompagnata dalle lacrime.



Perché a Fatima si va sempre in cerca di consolazione o di miracoli. È il luogo dove il pudore cede all’impellente bisogno di confidare strazi e affanni, il posto dove si è certi di essere ascoltati e compresi, anche solo balbettando o piangendo.

È da Maria che il Papa, da mesi impegnato a battersi come un leone per portare alla ragionevolezza due Paesi fratelli intenti a scannarsi senza sosta, si è recato. Minuti infiniti a parlarle, nel silenzio comprensivo dei 200mila che erano con lui. A chiedere cosa se non la pace che urla e invoca in ogni istante. La pace per l’Ucraina come per le tante altre regioni del pianeta, violate dall’odio e le armi. Pace da implorare, attraverso l’aiuto di Colei che oltre un secolo fa aveva già profetizzato l’orrore e le croci, chiedendo la conversione.



Molti commentatori, suggestionati dalle analogie, hanno sottolineato come anche allora il mondo era lacerato da una guerra mondiale, per essere poi schiaffeggiato da una pandemia che fece volare in cielo anche due dei tre bambini che la Madonna aveva scelto per parlare all’umanità. Eppure ciò che dovrebbe colpire è la stoltezza e l’ostinazione cieca con cui il mondo continua a ripetere gli stessi errori.

L’unica arma che possiede Francesco è quella consegnata dalla Madonna: il rosario. E allora lo recita, Ave Maria, dopo Ave Maria. Al suo Cuore Immacolato aveva già affidato i due Paesi in guerra sul fronte orientale, nel marzo 2022, poi l’8 dicembre scorso, in Piazza di Spagna, le aveva consegnato il pianto improvviso, lo sfogo di un’anima devastata dalla sofferenza di interi popoli, l’amarezza per le tante grida d’aiuto che non riusciva a tacitare con la speranza.

E ieri di nuovo da Maria, ancora da quella donna “che cammina, non sta ferma”, che “non ritarda”, ma va di fretta come racconta la pagina del Vangelo scelta per la Gmg portoghese. Lo ha detto in portoghese il Papa, Nostra Signora “apressada”, che spalanca le braccia per accogliere tutti ed indicare Gesù.

Sembra quasi di vederla correre per le strade polverose della Galilea, muoversi operosa, attraversare la Palestina del tempo, pronta ad andare incontro al bisogno della cugina, per mostrare la sua tenerezza. Oggi più che mai abbiamo bisogno della sua amorevole ansia. Tutti, giovani e anziani, russi e ucraini, malati e detenuti, fragili e forti.

Ne hanno bisogno anche i ragazzi della Gmg che nelle stesse ore “di corsa” arrivavano all’appuntamento con il Papa sull’estuario del Tejo. Hanno bisogno di lei, imparando magari da quei bambini di un secolo fa, a sgranare il rosario per chiedere la pace.

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