I viaggi che compie il Papa si chiamano “viaggi apostolici”. Non è un nome esotico, retaggio di antichi linguaggi, ma dice la ragione per cui il successore del beato apostolo Pietro lascia la sede di Roma per incontrare uomini e donne di altri Paesi. In un certo senso il Papa si muove per poter mettere i suoi occhi negli occhi della gente che lo attende e, al tempo stesso, per portare uno sguardo che non è il suo, che supera e abbraccia anche il suo.
Lo ha fatto intuire venerdì, nell’incontro con il clero di Marsiglia nella Basilica di “Notre Dame de la Garde”, quando ha detto: “Oggi ancora, per tutti, la Bonne Mère è protagonista di un tenerissimo ‘incrocio di sguardi’: da una parte quello di Gesù, che lei sempre ci indica e il cui amore riflette nei suoi occhi – il gesto più autentico della Madonna è: ‘Fate quello che Lui vi dice’, indicare Gesù – dall’altra quelli di tanti uomini e donne di ogni età e condizione, che ella raccoglie e porta a Dio”.
Non si comprende la missione del Papa, di qualunque Papa, se non si parte da questa urgenza. Dovremmo accontentarci, altrimenti, di un’analisi politica o sociologica del suo muoversi, del suo parlare, dei suoi gesti che, purtroppo, spesso sembra avere l’ultima parola sui mezzi di comunicazione. I documenti ufficiali della Chiesa definiscono così il compito del Papa: “Nel disegno divino sul Primato come ‘ufficio dal Signore concesso singolarmente a Pietro, il primo degli Apostoli, e da trasmettersi ai suoi successori’, si manifesta già la finalità del carisma petrino, ovvero ‘l’unità di fede e di comunione’ di tutti i credenti. Il Romano Pontefice infatti, quale Successore di Pietro, è perpetuo e visibile principio e fondamento dell’unità sia dei Vescovi sia della moltitudine dei fedeli, e perciò egli ha una grazia ministeriale specifica per servire quell’unità di fede e di comunione che è necessaria per il compimento della missione salvifica della Chiesa” (Congregazione per la Dottrina della Fede, Il primato del successore di Pietro nel mistero della Chiesa, n. 4).
Il carisma dell’unità e della comunione si esprime in tanti modi, ma ha come l’urgenza di dilatare l’esperienza apostolica ai nostri giorni. Si avverte sempre, nelle parole del Papa e in come le pronuncia, una vibrazione antica che ha il sapore di quelle reti gettate nel mare di Galilea, della pesca imprevedibile, dei nomi pronunciati come mai prima era capitato, di quegli incroci di sguardi tra Cristo e i suoi che continuano a dare energia alla storia. Il discorso strepitoso, e tutto da riprendere, che ha tenuto ieri in occasione della sessione conclusiva dei “Rencontres Méditerranéennes”, è un esempio limpido di come si può star davanti alle sfide, talvolta drammatiche del nostro tempo, senza sottrarsi a quell’incrocio di sguardi che rimane l’origine e il metodo per qualsiasi affronto del reale.
Tra le altre cose il Papa ha detto: “Non chiudiamo le vie dell’incontro, per favore! Non possiamo accettare che la verità del dio denaro prevalga sulla dignità dell’uomo, che la vita si tramuti in morte! La Chiesa, confessando che Dio in Gesù Cristo ‘si è unito in certo modo ad ogni uomo’ (Gaudium et spes, 22), crede, con San Giovanni Paolo II, che la sua via è l’uomo (cfr Lett. enc. Redemptor hominis, 14). Adora Dio e serve i più fragili, che sono i suoi tesori. Adorare Dio e servire il prossimo, ecco cosa conta: non la rilevanza sociale o la consistenza numerica, ma la fedeltà al Signore e all’uomo!”.
Sembra, ascoltandolo, di poter immaginare le discussioni degli apostoli alla sera, quando Gesù non era ancora tornato. Chissà quante recriminazioni, incomprensioni, scontri di opinioni sul metodo che il Maestro usava. Alcuni l’avranno ritenuto troppo debole, altri troppo poco efficace, altri ancora eccessivamente misericordioso. Ma c’era una cosa che, forse più di tutte, rimaneva incomprensibile: l’insistenza di Cristo sul cuore dell’uomo. Proprio ciò che gli permetteva di entrare nel punto più vero di chiunque, rimaneva la cosa più strana ai più. Erano abituati ad aggiungere Dio alla vita, le leggi alla coscienza, i precetti alla libertà. Come poteva il Signore avere come unico interlocutore il cuore dell’uomo? “Non basta” si saranno detti più volte. Eppure erano ripresi sempre lì anche loro.
A Marsiglia, come in tutti i viaggi, sorprende e commuove vedere che il Papa non ha cambiato interlocutore. Ci sono ancora quelli che dicono che non basta, che parlano di Cristo come di un giocatore che entra in campo al secondo tempo della partita, che costruiscono impianti pseudo teologici per dire che bisogna spiegare tutto, perché la gente non capisce. Anche se il Papa insiste, come a Marsiglia, nel dire che “La Chiesa non sia un insieme di prescrizioni, la Chiesa sia porto di speranza per gli sfiduciati. Allargate il cuore, per favore! La Chiesa sia porto di ristoro, dove le persone si sentano incoraggiate a prendere il largo nella vita con la forza impareggiabile della gioia di Cristo. La Chiesa non sia dogana. Ricordiamo il Signore: tutti, tutti, tutti sono invitati”, loro, imperterriti, continuano ad aspettare – armati di tutto punto – gli altri al varco dei loro errori. La certezza per tutti, però, è l’insuperabilità di quell’incrocio di sguardi: quello di Cristo con il nostro, il nostro con il Suo e, inestricabilmente coinvolto, quello della Madre con entrambi. Ciascuno può verificare cosa è in grado di riempire veramente la vita.
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