Sì, caro papa Francesco, sai quanti di noi vorrebbero che tu potessi andare sia a Mosca che a Kiev. Significherebbe che qualcosa che assomiglia alla pace è già stata fatta.

Prima, questo tuo viaggio nelle capitali della guerra, ammesso che fosse possibile, non è detto che sarebbe stato utile alla causa che ti sta, e ci sta, tanto a cuore. Ora è ancora il tempo della trattativa e, purtroppo, è ancora il tempo del dolore, e della preghiera.



È un fatto significativo l’apprezzamento di qualche settimana fa che è venuto da Mosca a proposito del piano di pace proposto dalla Santa Sede, ma è altrettanto significativo il silenzio di Kiev che in quel momento pensava ad una vittoria che oggi, oggettivamente, sembra difficile. È significativo anche il disinteresse dei media nel conoscere i contenuti di quella proposta: e se fossero del tutto differenti da quello che molti si aspettano?



Viaggi a Kiev ormai se ne fanno tutti i giorni, tanto che qualcuno si domanda persino se sia vero che Kiev è in guerra. Certo non se lo domandano quelli di Kharkiv, di Lugansk, eccetera, che forniscono ogni giorno macabri bollettini di guerra.

Qualche articolo fa, parlando del gruppo Wagner, dicevo che ormai al neo-paganesimo occidentale di tipo consumistico sta iniziando a contrapporsi un nuovo neo-paganesimo slavo, tutt’altro che estraneo al consumismo occidentale, ma molto orgoglioso di rifarsi a certe radici storiche che presentano in forma moderna il mito del supereroe e una certa visione dell’ecologia basata sul carattere selvaggio della natura, compresa la natura umana.



In questo senso la visita del Papa a Mosca e a Kiev non potrebbe significare la beatificazione dei leader contendenti, ma un ammonimento a riconoscere la fonte del male che si è creato.

E perché, come più volte detto, prima a Mosca e poi a Kiev? Scusate, ma un altro Francesco, molti anni fa, non andò forse prima dal lupo di Gubbio che dai pastori delle pecore che il lupo aveva mangiato?

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