La prima partecipazione di un pontefice al summit intergovernativo delle sette più grandi nazioni della terra avviene in una congiuntura anomala, in condizioni anomale e con una modalità anomala. I Paesi presenti al G7 non sono da tempo i più potenti del pianeta: la loro rappresentatività – e di conseguenza la loro capacità di incidere sulla vita del mondo – si è notevolmente ridotta, sia a causa dei cosiddetti Brics (Brasile, Russia, India, Cina e Sudafrica), sia per le numerose crisi globali e regionali che hanno scalfito il prestigio dell’Occidente e il ruolo guida degli Stati Uniti d’America. Invitare il papa in questo consesso, pertanto, non significa più offrire al vescovo di Roma l’opportunità di parlare direttamente ai “grandi della terra”, ma circoscrivere di fatto la voce e la parola della Santa Sede al contesto in cui essa si è sviluppata e affermata. Certamente la giornata di ieri, in cui Francesco ha preso la parola, era giornata ampia, con la partecipazione di altri leader mondiali come i presidenti di India e Brasile, ma sta di fatto che oggi la società globale non ha più un luogo vero dove parlarsi, dove incontrarsi, dove prendere quelle decisioni di fondo che sono davvero capaci di cambiare l’esistenza delle persone. Francesco che parla al G7 è un capo di Stato che parla in un consesso precario e debole.
Il tema dell’intervento, poi, fa sì che le condizioni in cui è avvenuto siano anch’esse anomale. In un momento complesso, con due guerre in corso – per cui Francesco si è speso tantissimo – e una crisi geopolitica che investe i fondamenti del sistema occidentale, chiamare il Papa a parlare di intelligenza artificiale è certamente profetico, ma è anche riduttivo. Il Santo Padre non è un tecnico ed è chiaro che ampie parti del discorso che ha pronunciato sono state scritte da qualcun altro che quelle cose le capisce e le interpreta. Non chiamare papa Bergoglio a parlare di qualcosa di “suo”, di un tema caratterizzante del suo pontificato, è anomalo, ma è anche un’occasione sprecata. La voce del successore di Pietro è forte e chiara, le parole che dice possono spesso infastidire o inasprire opposizioni, ma sono sempre coerenti con una visione del mondo che egli ha ribadito anche nell’intervento di Borgo Egnazia: sì ad una cultura dell’incontro, no ad una cultura dello scarto. Eppure l’efficacia del messaggio petrino, quando si scende sugli aspetti tecnici, rischia di perdersi, di risultare una parola anomala in un contesto internazionale fortemente anomalo.
Infine una parola certamente la merita il contenuto del discorso del Papa. C’è un passaggio molto interessante, legato al fatto che l’uomo non è soltanto libero, ma è capace di decidere, che certamente merita grande attenzione, ciononostante Francesco non parla mai di coscienza, riducendo la questione dell’intelligenza artificiale ad un tema etico, come fosse uno strumento che l’umanità deve decidere come impegnare. Il punto veramente interessante dello sviluppo dell’intelligenza artificiale è che mai l’uomo è andato così tanto vicino al vedersi formare davanti a sé una coscienza. Ma questo è davvero possibile? Può l’intelligenza artificiale diventare cosciente? Che cos’è l’uomo? Che cosa vuol dire essere umani?
È difficile pensare che la questione dell’intelligenza artificiale, come tutte le altre grandi questioni della vita, si risolva all’interno della polarità che c’è tra il trattenersi e il lasciarsi andare. La libertà umana non si esercita anzitutto nello scegliere, ma nell’accettare le domande che provengono dalla realtà. La nostra prima libertà è quasi una passività, è l’accettazione stupita e inesorabile di qualcosa che è dato, participio del verbo dono, donato. Lo sviluppo tecnologico ci dona domande nuove che ampliano le domande dell’uomo, le rendono più urgenti, più radicali. Se non si fa i conti con questa imponenza di questioni, quello che resta è solo la ricerca dell’atteggiamento più morale, che è tipico dei grandi vertici e dei grandi convegni, ma che elude – di fatto – le questioni di fondo che bussano alla nostra porta.
Cristo non è una presenza che disciplina le circostanze della vita, mostrando di volta in volta ciò che è giusto e ciò che è sbagliato, ma è una presenza vera, reale, che accompagna il cuore e la ragione dell’uomo nei meandri della storia, spingendo ogni battezzato ad accettare tutte le istanze che la realtà pone come un’occasione per sé e una rivoluzione per il mondo.
Il Papa, nelle condizioni date, non poteva far di più e ha detto cose importantissime sulla tecnologia, ma la spinta alla società non arriva mai da un’esortazione, bensì dall’indicare con forza il fascino di una Presenza. A Borgo Egnazia il vescovo di Roma irrompe in un summit mondiale. Lo fa in modo anomalo, ma è solo un inizio. A papa Francesco occorre davvero un’occasione per parlare. Per annunciare a tutti i potenti del nostro tempo che non è la capacità di agire che ci rende forti, ma la capacità – pur essendo pieni di possibilità – di fermarci, di porci un confine, un limite entro il quale costruire con dignità tutto il percorso e la strada della nostra umanità. Non siamo liberi quando facciamo tutto quello che vogliamo come vogliamo, ma quando ci rimettiamo davanti alle realtà – e agli interrogativi – che turbano davvero la vita.
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