PORT LOUIS (Mauritius) — Un pizzico di sadismo gli organizzatori del secondo viaggio africano di Francesco devono averlo volutamente spolverato, programmando le otto affannatissime ore passate dal pontefice, e dal suo seguito di vescovi, monsignori, guardie svizzere e corrispondenti di mezzo mondo, nel paradiso naturale incastonato nell’oceano indiano. Una sofferenza, scorrere dai finestrini di aerei e pullman la bellezza di verde, cielo azzurro popolato di basse nuvole, specchi di mare affollati di velieri, invidiando uomini e donne che pigramente abitano Mauritius ogni giorno, godendo della meravigliosa alchimia di storia coloniale, terra dolce e acqua cristallina. Eppure anche Francesco, dopo il colpo d’occhio sull’arcipelago dall’aereo che lo portava incontro alla sua terza tappa della 31esima visita apostolica, deve aver lanciato almeno un sospiro. O forse no. Abituato com’è ad apprezzare più lo spettacolo dell’umano che il creato, preferendo il disegno di Dio sui cuori all’orizzonte gravato di bellezza. È un contemplativo dell’uomo.



E non è un caso che quando deve riordinare impressioni e memorie delle sue incursioni in paesi visitati tiri fuori sempre le istantanee di volti, abbracci, sorrisi e lacrime che gli hanno graffiato l’anima. Per questo forse durante la conferenza stampa a bordo dell’aero che lo riporta a Roma, racconterà le Mauritius attraverso l’immagine bellissima di un popolo che sventola rami di palme verdissime, mentre lui si arrampica dal porto di Port Louis verso il monumento a Maria Regina della Pace, la statua in marmo di Carrara della Vergine con il Globo in mano, che guarda l’insenatura.



Sulla collina che domina la capitale dell’isola si è visto uno spettacolo della fede dalle suggestioni evangeliche. Il popolo mauriziano, coperto dai tradizionali cappelli indigeni, che spostava l’aria umida con le foglie di palma, al ritmo dolce di una allegra canzone creola. Impossibile non pensare a Gesù di Nazareth, alla gioia delle folle all’ingresso a Gerusalemme. La meraviglia di terrazze degradanti, brulicanti di uomini, donne e bambini, arrampicati tra fiori e pietre nere, in una scalinata piramidale culminante proprio ai piedi della Madonna.

Un’euforia che ha lasciato spazio al silenzio irreale quando i fedeli sono stati invitati al raccoglimento. Lunghi minuti di assenza, riempiti solo dal cantare degli uccelli. Port Louis sospesa, colma di attesa, per una presenza che avrebbe poi dato indicazioni importanti per testimoniare il Vangelo, l’amore per Dio e per gli uomini. I discendenti degli schiavi trasportati dal Madagascar e dall’Africa orientale dai mercanti di esseri umani del XVIII secolo e dei servi strappati al sudest asiatico, indiani soprattutto, dai colonizzatori britannici, hanno sentito parlare Francesco dei nuovi derelitti, di una chiesa che deve reimparare l’entusiasmo dell’evangelizzazione, lo slancio che apre nuovi orizzonti, l’amore per i nuovi scartati, i giovani, vittime di una crescita economica scomposta, costretti ai margini, vulnerabili, senza punti di riferimenti.



Ha tuonato contro i nuovi mercanti di morte, Francesco, ma ha anche ricordato che il popolo delle Mauritius, che ha nel Dna le rotte dei migranti degli ultimi tre secoli, può contare sulla disposizione all’accoglienza e alla pace, sulla naturale inclinazione ad incontrare l’altro. E se oggi sulle banchine scendono turisti assetati di bellezza e non più gli schiavi che père Laval, straordinario apostolo e missionario, liberava dalle catene, non vuol dire che non bisogna ritrovare la capacità di annunciare la felicità e la salvezza. Un paese e un popolo che deve imparare a stupire per coraggio e democrazia, profezia ecologica e difesa dei diritti degli ultimi, e non solo per gli incantevoli squarci che Dio gli ha donato.

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