Il primo Messaggio per la Giornata Mondiale delle Comunicazioni Sociali è del maggio 1967. Allora il Papa era Paolo VI e con essa voleva richiamare l’attenzione sull’importanza dei mezzi di comunicazione sociale che, a quei tempi, erano la stampa, il cinema, la radio e la televisione.
Da allora molta acqua è passata sotto i ponti. Soprattutto c’è stato l’incredibile tsunami della nascita del web con tutto ciò che riguarda l’utilizzo dei social. In genere il Messaggio viene promulgato il 24 gennaio, memoria di san Francesco di Sales, cioè ieri. Quest’anno però era domenica e così il Messaggio è uscito sabato 23, proprio il giorno in cui il Garante della Privacy ha ingiunto a TikTok di obbligare i suoi “creators” (così si chiamano gli utenti della app cinese) all’assoluta trasparenza dell’identità, spinto a ciò dalla assurda sfida della challange blackout che si è diffusa attraverso la piattaforma più usata dai giovanissimi.
Nel suo Messaggio, scritto quando ovviamente non si poteva conoscere quanto sarebbe accaduto nel capoluogo siciliano, Papa Francesco rimette al centro la persona fatta di carne ed ossa, non quella elaborata dai software: e questo vale anche per il mondo dei social. In concreto suggerisce di dare meno importanza a computer e devices e più agli incontri veri, quelli che consumano “la suola delle scarpe”: e pensa soprattutto ai giornalisti. Il principale problema della comunicazione, infatti, oggi è l’enorme quantità di garbage (spazzatura) fatta non da “notizie” fornite da giornalisti veri, quelli che spendono la giornata non su Google ma seguendo piste ed incontrando le persone. Perché “la verità frutto dell’incontro” – uno dei moti che descrive il pontificato di Bergoglio – è un assioma che si dimostra di straordinaria importanza soprattutto nel mondo della comunicazione.
“Voci attente – scrive Bergoglio – lamentano da tempo il rischio di un appiattimento in ‘giornali fotocopia’ o in notiziari tv e radio e siti web sostanzialmente uguali, dove il genere dell’inchiesta e del reportage perdono spazio e qualità a vantaggio di un’informazione preconfezionata, ‘di palazzo’, autoreferenziale, che sempre meno riesce a intercettare la verità delle cose e la vita concreta delle persone, e non sa più cogliere né i fenomeni sociali più gravi né le energie positive che si sprigionano dalla base della società”.
La ricetta del coinvolgimento personale, che riguardi “le suole delle scarpe”, è sempre efficace: e sarebbe stata decisiva anche nel caso della bambina palermitana. Moltissimi genitori infatti non sanno – o fingono di non sapere – che TikTok, come nessun altro social fa, dà la possibilità di attuare il controllo famigliare. È un’opzione tramite la quale è possibile impostare il massimo di tempo per il figlio, limitare i contenuti che si ritengono non adeguati, gestire le informazioni di privacy e di sicurezza, scegliere se il figlio può avere un account pubblico o privato: tutte possibilità che purtroppo, per esplicita ammissione, i genitori della bimba palermitana non avevano attivato.
Lungi da me stigmatizzare persone già travolte da una così enorme sciagura: scrivo quest’informazione solo per sensibilizzare chi ha figli minorenni su TikTok a prendersi la fatica – “la suola della scarpa che si consuma” – di verificare che questa opzione sia “on”. La bimba di dieci anni non è morta per colpa di TikTok ma per colpa della challange che si diffondeva attraverso TikTok. Ci ricordiamo del bimbo morto a Napoli a novembre per Jonathan Galindo? Ci ricordiamo delle centinaia di morti per le blue whale che spingevano a camminare su cornicioni e a passeggiare sui binari della metropolitana e dei treni? Lì non c’entra TikTok. È certo doveroso obbligare la app cinese a diventare ancora più sicura, così come è necessario progettare treni e metropolitane in modo che sia impossibile camminare sui loro binari, però ci deve essere anche l’impegno dei corpi intermedi: quelli che stanno tra lo Stato che fa le leggi e il singolo, ed il primo corpo intermedio è certamente il nucleo familiare: ma non è l’unico.
In Africa si dice che per educare un bambino ci vuole un intero villaggio. Ciascuno è chiamato a “consumare la propria scarpa”, cioè ad impegnarsi in prima persona. Per esempio, si potrebbero costituire delle associazioni alle quali dovrebbero obbligatoriamente essere iscritti i minori e che avrebbero il compito di aiutare i genitori nello stare a fianco dei figli sui social in un momento stimolante e difficile come quello attuale. Chi se la sente di impegnare il proprio tempo e le proprie energie in un compito simile?
Quando Paolo VI scrisse il primo messaggio nel 1967 l’informazione era costituita sostanzialmente dai giornalisti: ora, anche se giustamente Papa Francesco vuole rimetterli al centro, il panorama è profondamente cambiato. Nel bene e nel male il web ci rende tutti protagonisti. Le suole delle scarpe che si devono consumare sono quelle dei giornalisti ma anche quelle dei genitori, delle associazioni e degli utenti.