Quella domenica, quando s’è chiuso il collegamento con A Sua Immagine, ho avvertito nel cuore una strana allegria. Certo: avvertivo la forza d’urto di una richiesta fatta a nome di tanta gente, della nostra galera: “Diglielo al Papa di fare qualcosa di forte, che qui vien giù tutto. Che dia appuntamento al mondo intero: lui ha coraggio da vendere!” era il riassunto di quelle voci rauche che il profetismo ce l’avevano marcato addosso.
Mi son fatto loro portavoce: in quelle sere, di notte, con due amici preti abbiamo unito la fantasia pregando, forti della fede di Mosè che non aveva paura di scomodare Dio. Abbiamo condiviso il tutto scrivendoci, dandoci appuntamento attorno a quel lago dove una tempesta forte spaventò persino dei pescatori navigati come la gente di Tiberiade.
Poi, alla fine di tutto, abbiamo messo tutto nelle mani di pietra di Pietro. Non sapevamo che fine facesse quell’invito accorato, quegli appunti scarabocchiati, ma sentivamo che Pietro, nelle stesse notti, stava pregando Dio di dargli un segno. Da condividere.
Temevo di sentirmi in colpa per un surplus di sfacciataggine: nessun grado d’intimità può far dimenticare la distanza spirituale che c’è tra Pietro e i suoi più piccoli fratelli. Pietro è Pietro: dopo di lui soltanto il suo Dio. Nulla, invece: quella domenica me ne son tornato dentro in galera con una certa allegria addosso al pensiero che, comunque, il dado era stato tratto. Che la mia missione di postino era stata portata a termine.
Quando, poi, il lunedì ricevo la sua telefonata, la mia allegria si è fatta seria, pur rimanendo d’allegria. In un battito d’ali ho capito che Dio stava iniziando a pennellare una pagina di storia: di fede, di speranza e di carità. “Mi ha colpito il vostro invito: è un gesto molto forte. Noi preghiamoci, intanto: preghiamo assieme, perché non bisogna mai dimenticarci che il confine tra la profezia e il ridicolo è leggerissimo”.
Parole dette così, con quell’afflato paterno ch’è tipico di Francesco. Nel frattempo la morte continuava ad abbaiare sotto casa: i morti aumentavano a dismisura, le colonne dei carri militari con le bare incupivano menti e cuori, si stava “come d’autunno sugli alberi le foglie” (G. Ungaretti). Le galere come caffettiere fumanti, le case di riposo blindate come galere, il virus che giocava a nascondino col mondo, nascondendosi nei posti più impensati: in un fazzoletto, in uno starnuto, in un’anonima maniglia.
Vuoto ovunque. Con gli esperti in tv tutti ammassati davanti a quel vuoto, mentre medici e volontari stavano nella trincea, a spalare la paura come fosse una valanga di fango tracimante. “Tu da solo, Papa Francesco: in piazza San Pietro, piazza vuota. Non vedi che abbiamo tutti paura di entrare in quel vuoto? Entraci tu, a nome di tutti. Percorrilo, attraversalo, benedicilo. Fallo risuonare a mo’ di campana”.
Non dentro la basilica: che nessuno dicesse ch’era il pregare dei soli credenti. Non sulla strada: che i credenti non dicessero ch’era preghiera pagana. Sull’atrio, come sulla soglia di casa: che tutti quelli che volevano entrare potessero farlo. Perché come il male non guarda in faccia nessuno, a qualsiasi fede appartenga, altrettanto la speranza: divenga sempre più proprietà privata del mondo intero.
In galera, in quei giorni, in tantissimi hanno pregato per il Papa, per quella serata, perché Dio lo illuminasse e lui, come cero, portasse la luce a coloro che la cercavano. Parole salvavita: “Perché avete paura? Non avete ancora fede?” Si è caricato il mondo in spalla, facendosi coraggio.
Quand’è uscito, sono scoppiato a piangere: senz’ombrello, claudicante, da solo contro Satana scatenato. Ho provato tenerezza per il mio Mosè argentino. E quel vuoto immenso, d’un tratto, è diventato la cattedrale più ecumenica che si potesse innalzare. Mentre l’ascoltavo, in ginocchio, ho capito tutto quello che non capivo i giorni prima. Quello che nessuno vorrà mai capire: che Francesco, quand’è stato eletto Papa, è stato eletto per arrivare puntuale a quel venerdì. E ricordarci ciò che, col bel tempo, ci scordiamo: che nessuno si salva da solo.
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Domenica 27 marzo 2022, in Piazza san Pietro, saranno distribuite 10mila copie del libro “Perché avete paura? Non avete ancora fede?” (Lev – Piemme): testi e immagini di un momento unico nella storia della Chiesa
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