Il virus, quando abbiamo concretizzato che non era affatto uno scherzo, ci è parso come una grande bolla vuota: “Che cosa c’è dentro, cosa troveremo al di là, quanto si rischia ad attraversarla?” Di fronte alla bolla, l’abbiamo visto tutti, la tentazione è stata d’aspettare che fossero gli altri a dirci che cosa fare, salvo poi lamentarci. La bolla, poi, è servita per misurare l’altezza del comando: non per nulla l’indice di gradimento dei governatori che l’hanno affrontata con testa e cuore ha sorpassato il gradimento dei loro leader nazionali. Il vuoto generale è stato il banco di prova di chi, in quell’attimo, era al comando.



Un vuoto che non ha risparmiato la Chiesa: perché avrebbe dovuto farlo? Un’emergenza – nessuno è preparato a gestire un’emergenza o uno scandalo – che ha svelato la stoffa del governante, sopratutto nel mare in burrasca. E nella burrasca anche stavolta è emersa statuaria la figura del Papa: quel vuoto, che tanti disanimava, è divenuto la magna charta del suo magistero.



Anche il Papa si è trovato la stessa bolla di vuoto davanti, e ha deciso cosa farne di questa situazione: è entrato, l’ha attraversata tutta e, benedicendola, ha fatto parlare quel silenzio che scambiavamo per mutismo di Dio. Una leadership pragmatica: “Non si cambia cavallo mentre si sta facendo il guado di un fiume” disse una mattina a Messa. Una messa, per l’appunto, che nei giorni complicati del virus ha voluto fosse trasmessa in diretta tv.

È stata la sua modalità per tenere unita la Chiesa attorno all’essenziale: Cristo, nell’eucaristia. In mesi nei quali, nella Chiesa, si è rischiato di apparire comici in fatto di acutezza pastorale, il Papa ha ricordato che, in guerra, è consigliabile andarci con l’essenziale, non con tutto il guardaroba appresso. La messa trasmessa da Casa Santa Marta era di una sobrietà imbarazzante: la liturgia scarna, i canti ridotti all’osso, senza popolo. In quella frugalità il Papa ha dato appuntamento al suo popolo che ogni mattina ha risposto “Presente, Amen!”. In ogni messa un’intenzione di preghiera, un’omelia coi piedi per terra e gli occhi al Cielo, l’adorazione: i dati auditel schizzavano, ha salvato il palinsesto di qualche tv e ai guru della comunicazione (ecclesiale) non è rimasto altro da fare che imparare l’arte ed, eventualmente, metterla da parte.



Domani, per l’ultima volta, il Papa celebrerà in diretta la messa mattutina. Il momento è arrivato: ogni comunità, dopo avere visto come si fa a governare il vuoto avendo Cristo come guida, prosegua coi suoi pastori. L’abbaglio svolazza nell’aria: “Come sarà la ripresa?” Anche nella vita ordinaria della Chiesa non ci sarà ripresa: tutto nuovo. Fosse una ripresa, vorrebbe dire che questi mesi non ci hanno detto nulla: semplicemente abbiamo aspettato finissero. Dio, però, non conduce nessuno a Babilonia per niente: quel vuoto è una cattedrale in cui Dio ci aspetta. Paura? Zero, se solo sapremmo riscrivere delle pagine nuove alla luce dell’accaduto. Mortale, se pensiamo di ritrovare la chiesa con la parrocchia come l’abbiamo lasciata.

Anche per chi governa sarà una novità. Diventerà un suicidio se, scordandosi Cristo, ritorneranno ad intonare l’amara tiritera: “Abbiamo sempre fatto così, perché cambiare adesso?” Perché tutto è cambiato, altrimenti è come ammettere che anche Dio ha giocato.

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