Alberto Melloni è uno storico della Chiesa di primo piano. Il suo essere di primo piano non è dovuto soltanto alla competenza e alla qualità delle sue ricerche, ma anche alla sua posizione teologica profondamente cristallina. Melloni, infatti, fa parte di quella “scuola di Bologna” che – da Alberigo in poi – si è fatta portavoce di una posizione che potremmo definire progressista e che legge il Concilio Vaticano II nell’ottica della discontinuità rispetto alla tradizione precedente. Il tempo ha fatto in modo che fosse sempre più chiaro che gli avvenimenti che caratterizzano la storia della Chiesa non siano mai riconducibili ad una sola chiave di lettura. In questo senso il Concilio non è un evento che noi possiamo etichettare come concluso e passibile di conseguenze inevitabili e chiare: il Vaticano II è ancora aperto e lascia sul tavolo tre questioni essenziali per la fede cristiana.



In primo luogo, la visione di Dio. Dio, nell’ultima parte del Novecento cattolico, è essenzialmente “misericordia”, è un bene gratuito che entra nella storia per abbracciare l’umano e redimerlo nell’amore. La misericordia senza condizioni è una delle mete che la Chiesa del nuovo millennio si è data come chiave della propria azione pastorale. Dives in Misericordia diceva Giovanni Paolo II, Deus Caritas Est gli faceva eco Benedetto XVI, Dilexit nos ha chiosato in questi giorni Francesco. Il volto di Dio, come Padre misericordioso, è quindi annunciato e ripetutamente evocato. Eppure, va certamente ancora imparato.



La seconda questione sul tavolo della Chiesa è la definizione dei ruoli e delle responsabilità all’interno della compagine ecclesiale. È il tema delle ministerialità, che può essere risolto o con un ripiegamento su se stessi da parte delle varie propaggini ecclesiastiche, oppure con un ripensamento di alcuni tratti di organizzazione comunitaria alla luce delle domande e delle istanze del nostro tempo.

Infine, l’ultima questione riguarda le modalità con cui esercitare il ministero petrino: il Papa monarca lascia lo spazio – dopo secoli – ad un nuovo tipo di primato ancora tutto da pensare, un primato che ruota attorno alla parola “sinodalità”. Proprio su questa materia Melloni interviene sul Corriere della Sera esprimendo profonda delusione circa l’andamento del Sinodo che da tre anni vede impegnata la Chiesa universale. La delusione di Melloni riguarda le decisioni non prese e una sorta di immobilismo cui il Papa stesso avrebbe condannato l’Assemblea sinodale, incurante della solitudine in cui avrebbe finito per isolarsi e incurante delle conseguenze che le scelte odierne avrebbero sul prossimo Conclave e sul futuro della Chiesa.



Quello che Melloni dimentica è che ogni Papa, con il proprio ministero, formula una proposta a Dio. È quello che accade nella vita di ognuno di noi: la nostra preghiera è sempre una proposta ed è Dio che deve decidere come gestire quella domanda e quell’idea. L’articolo di Melloni è totalmente schiacciato sulla libertà umana, una libertà che riduce la Chiesa ad un’azienda in cui il capo – che è il Papa – si dimostra con un profilo apparentemente deludente. Si tratta di una Chiesa senza Cristo, dove Dio è assente o in vacanza, ed è evocato nei momenti più importanti solo per avallare ciò che gli uomini hanno deciso.

Dio, però, non si accontenta di vedere: Cristo è il Signore della storia ed entra nella storia in ogni tempo e in ogni epoca per chiamare alla conversione la libertà umana. Succede ad ogni ragazzo che al mattino va al liceo, ad ogni ragazza che al mattino va in università, ad ogni donna e ad ogni uomo: è Dio che ha ogni giorno una proposta per noi. Il più grave errore della Chiesa è smettere di convertirsi, di voltare lo sguardo dalle nostre proposte alle proposte di Cristo. Melloni ha giustamente delle sue proposte. Ma quelle proposte non vanno lontano finché non trovano terreno fertile nell’affidamento a Dio e nella curiosità di vedere che cosa il Signore farà con le nostre idee. Molte volte Egli le conserva e le custodisce, altre volte – invece – le mette in discussione per regalarci una stagione che non ci aspettiamo. Non il grigio inverno dipinto da Melloni, ma un’incredibile primavera che nessuno – in questo momento – osa neppure sognare.

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