Tutti abbiamo impressa nella memoria l’immagine di Papa Francesco che affida da solo l’umanità a Dio durante il Covid. Non presenti in Piazza San Pietro, tutti eravamo con lui e trepidavamo per il comune Destino.
Non così oggi. Presenti sulla scena del mondo siamo invece distanti dalla sua proposta: non seguiamo il suo sguardo e non vediamo le sue stesse cose. La richiesta “di una tregua pasquale in Ucraina, per arrivare alla pace” non è decollata. Nessun politico, neanche di piccolo calibro, l’ha rilanciata.
Aveva provato, con coraggio, il cardinale Bassetti, scrivendo: “In questa Domenica di Passione, sentiamo con ancor maggiore partecipazione il dramma del popolo ucraino, costretto all’esilio, sottoposto ai bombardamenti e alle violenze di ogni genere. La guerra è terribile, perché sfugge dal controllo di chi l’ha promossa e – come un fuoco – si allarga in modo incontrollabile. Papa Francesco ha dichiarato: L’unico modo di vincere una guerra è non farla”. Ma niente.
E d’altro canto gli spiragli erano non solo stretti, ma venivano ristretti. L’esplosione di un deposito di acido nitrico a Rubizhne, il susseguirsi dei bombardamenti e dei combattimenti sono un fatto, accompagnati dalle voci di un inquietante furto di sostanze radioattive. E poi la drammatica dichiarazione di monsignor Shevchuk, capo della chiesa greco-cattolica, sui crimini commessi dagli invasori nel villaggio di Lukashivka in una chiesa ortodossa: profanazione e torture.
Negli stessi giorni, peraltro, il politologo Karaganov ha parlato di “guerra esistenziale” e il patriarca Kirill ha invocato unità contro i nemici interni ed esterni di Mosca. Mentre le voci del dissenso contro il regime autocratico vengono tacitate o intimidite con una Z sulla porta di casa. Oppure, prese di mira, come accaduto a Dmitrij Muratov, intervistato dalla giornalista Katerina Gordeeva, recentemente attaccato con vernice con acetone e insulti minacciosi.
Nel campo occidentale, poi, si sentono parole dolorose. L’ex ambasciatore americano Chas Freeman ha dichiarato: “combatteremo fino all’ultimo ucraino” e il generale Tricarico, intervistato nel programma Tagada de La7, ha affermato: “La parola ‘negoziato’ è scomparsa perché Biden non vuole la pace”. Insomma, come ha detto Papa Francesco: “Si continua a governare il mondo come una scacchiera”.
Ma la partita non è più come quella di un tempo tra Fisher e Spassky con osservatori e giudici. Qui il gioco è più rischioso e grave. Infatti, c’è chi gioca a scacchi, c’è chi soffre per il gioco, c’è chi viene giocato come uno scacco (pedone o anche pezzo pregiato) da una macrostoria che lo sovrasta, c’è chi vuole rovesciare in modo azzardato tutta la scacchiera.
C’è poi chi, avvantaggiato da una grande storia di saggezza, non gioca a scacchi, ma a Go, antichissimo gioco cinese, che si gioca solo in due. Il gioco è davvero raffinatissimo: alta strategia. Si può imparare qualcosa leggendo il bel testo di Yasunari Kawabata, Il maestro di Go (Einaudi). Chi invece pensa che la vita degli uomini non è un gioco, proponendo salvezza, libertà, rispetto del diritto umanitario e negoziati, purtroppo, resta isolato.
In tutta questa storia complessa e drammatica, il giudizio che emerge, perciò, non è quello di una sorta di neutralità super partes o di un pavido né-né. L’immagine di Papa Francesco con la bandiera ucraina proveniente da Bucha brucia la menzogna e l’equiparazione tra aggredito e aggressore, ma dà il contributo ulteriore di una domanda esistenziale. Si può rileggere la storia dalla parte della vittima innocente e della protezione delle genti? Storici, politologi, strateghi parlano di battaglie, cambiamenti epocali, tsunami nelle relazioni internazionali. In tutte queste necessarie e doverose valutazioni, manca però sempre un ospite indesiderato e fastidioso: l’innocente.
I nostri libri di storia non ricordano le parole contro le guerre in Iraq di san Giovanni Paolo II. Non c’è posto nel nostro ricordo per i bambini iracheni morti a seguito dell’embargo o delle bombe. E oggi, non si considerano i bambini ucraini che hanno perso la pace o sono vittime della guerra. Non si vedono le potenziali vittime future: a seguito del protrarsi dei bombardamenti o di una possibile carestia in Africa. Oggi vale solo la spettacolarizzazione delle armi (bombe a frammentazione, mine antiuomo, droni kamikaze, missili ipersonici) con la contemporanea rimozione del dolore dei feriti e delle vedove. Non si hanno, poi, sufficienti notizie degli oltre 500mila ucraini che, a seguito dei bombardamenti delle città, sono profughi in Russia. I loro destini segnati dalla sofferenza non possono essere abbandonati.
In questo mondo diventato folle, in cui sembra vincente il nichilismo, viene in mente il cuore pensante di Elizabeth Anscombe, che fu l’unica docente di Oxford a opporsi alla laurea honoris causa a Truman, per aver causato vittime innocenti con il bombardamento di Hiroshima e Nagasaki. Il suo insegnamento e il magistero di Papa Francesco ci dicono che, anche se rifiutato con ostinazione, il tavolo della pace c’è già. Non è il tavolo dei potenti che decidono i destini dei popoli e possono premere bottoni. È quello di chi vive un potere senza potere che supera ogni misura. Si tratta delle vittime innocenti di tutti i tempi e di tutti i luoghi.
È un tavolo diverso: senza distanza, senza confini, senza limiti. È una cosa dell’altro mondo, che inquieta questo mondo.
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