Le parole di Papa Francesco all’Angelus di ieri, quando ha affermato che “Dio è solo Dio della pace, non è Dio della guerra, e chi appoggia la violenza ne profana il nome” hanno squarciato le tristi giornate che stiamo vivendo, costretti a fare i conti con una guerra che ci coinvolge e ci interpella; giornate che, invece, sembrano essere state assorbite dalla dialettica tra fazioni che, in misure e in modi diversi, si confronta sulle ragioni dei contendenti e su ciò che occorrerebbe fare per uscirne: intervenire direttamente? Consegnare più armi agli ucraini? Consigliare loro di arrendersi? Inasprire ancor di più le sanzioni verso la Russia?
Il Papa non ha dubbi e risolutamente afferma che “davanti alla barbarie dell’uccisione di bambini, di innocenti e di civili inermi non ci sono ragioni strategiche che tengano: c’è solo da cessare l’inaccettabile aggressione armata, prima che riduca le città a cimiteri”. Tuttavia ognuno, come spesso accade nel nostro Paese, ha la sua ricetta, ognuno ha le sue idee e in tanti si pongono nei confronti del conflitto con una posizione totalitaria, quasi che chi manifesti opinioni diverse sia abitato da uno spirito maligno ed eretico.
In tutto questo incrocio di spade, una guerra sulla guerra, ciò che sembra mancare è la percezione del dolore, del male, della morte che arriva direttamente dall’Ucraina e che sembra essere stata anestetizzata dalla coscienza dei più, in un tentativo disperato di sostituire la domanda con la politica. Certamente non mancano lodevoli iniziative di solidarietà a beneficio dei profughi, raccolte fondi, atti eroici e generosi, sottoscrizioni, ma la questione di tutto quel male, di tutto quel dolore, è rimossa.
Questa rimozione non nasce da una cattiveria o da un deplorevole complotto, ma dall’assenza di un interlocutore: siamo di fronte, infatti, alla prima guerra senza Dio. In tutti i conflitti, anche recenti, era vivissima tra la gente e nell’opinione pubblica la domanda sul perché Dio permettesse un tale spargimento di sangue: in Bosnia, in Kosovo, in Afghanistan, in Iraq o in Siria, accanto alla domanda sulle responsabilità umane del conflitto si chiamava in causa il divino, ponendo quella domanda radicale che accompagna tanto pensiero occidentale da diversi secoli.
Oggi questo non succede: a Dio non viene chiesto niente e la Chiesa è trattata come una Ong pacifista i cui ammonimenti sono un importante spunto di confronto etico, ma nulla più. A ciò si unisce l’afasia di molti membri della Chiesa ortodossa, il richiamo a nuove crociate per eliminare ciò che offende la religione, ma Dio – il Suo stesso nome – pare bandito dal discorso pubblico. In questo mondo postcristiano il primo ad essere congedato è proprio Lui, Cristo, che nessuno ha il coraggio di indicare come l’unico che, se riconosciuto presente, può portare la pace.
Dove si sarà dunque rifugiato Lui, il Signore dimenticato dal Suo continente? Che cosa sta facendo e dov’è in questi giorni Dio? Le agenzie di stampa non Lo hanno intercettato, i dispacci dal fronte non ne parlano, i reportage Lo ignorano. Pare solo che qualcuno lo abbia visto aggirarsi in un villaggio mentre infuriavano le bombe e imperversavano i soldati: stava parlando con tutti, senza chiedersi di che parte fossero, e soccorreva feriti, accompagnava moribondi, abbracciava orfani. Ad una donna anziana cui un giornalista si è avvicinato per chiedere che cosa stesse facendo quel Signore così pieno di lacrime e di forza, sembra che la donna abbia risposto con molta semplicità: “Non lo vede? Sta già ricominciando”.
Egli non si arrende, Egli non ci considera mai perduti. E dove adesso i nostri fratelli seminano morte, Lui – misteriosamente – inizia a coltivare speranza. Guardare quello che fa, non staccarci dalla Sua Presenza, rende tutti noi non più tristi ventriloqui di un qualche potere, ma inaspettati testimoni di Uno che già c’è, che già tocca tutta la nostra umanità e, gratuitamente, la salva.
— — — —
Abbiamo bisogno del tuo contributo per continuare a fornirti una informazione di qualità e indipendente.
SOSTIENICI. DONA ORA CLICCANDO QUI