PAPA FRANCESCO RISPONDE ALLA CHIESA USA SUL TEMA DELL’ABORTO

Registrata lo scorso 22 novembre, è uscita oggi la lunga intervista di Papa Francesco alla storica rivista Usa fondata dai Gesuiti nel 1909, “America Magazine”: tra i diversi temi affrontati dal Santo Padre con i cinque giornalisti che hanno fatto visita nella residenza di Santa Marta in Vaticano, due su tutti tengono banco da tempo ormai nella Chiesa americana. Sono l’enorme polemica sull’aborto – con la sentenza della Corte Suprema Usa dello scorso giugno che ha rimandato ai singoli Stati federali la decisione sul diritto o meno all’interruzione di gravidanza – e la tremenda vicenda degli abusi sessuali interni alla Chiesa Cattolica. Come sempre, Papa Francesco affronta “di petto” la duplice delicata questione non eludendo anche l’accento più profondo e radicato nella società contemporanea americana.



«Sull’aborto ti dico queste cose che ripeto ora», spiega il Papa su “America Magazine” (traduzione su Vatican News, ndr), «In qualsiasi libro di embriologia si dice che un poco prima del compimento del primo mese dal concepimento sono già delineati gli organi nel feto piccolino e il Dna. Prima che la madre se ne renda conto. Quindi è un essere umano vivo. Non dico una persona, perché si discute su questo, ma un essere umano. E mi faccio due domande. È giusto eliminare un essere umano per risolvere un problema? Seconda domanda: è giusto affittare un sicario per risolvere un problema? Il problema è quando questa realtà di uccidere un essere umano si trasforma in un problema politico. O quando un pastore della Chiesa entra in una categorizzazione politica». Per il Santo Padre, ogni volta che si perde di vista la “pastoralità”, il problema diviene immediatamente politico: «Ossia di uno o di un altro partito. È universale. Quando vedo che un problema come questo, che è un crimine, acquista un’intensità fortemente politica, dico, lì manca pastoralità nel modo di affrontare quel problema. Sia in questo problema dell’aborto sia in altri problemi, non bisogna perdere di vista la pastoralità: un vescovo è un pastore, una diocesi è il santo popolo fedele di Dio con il suo pastore. Non possiamo trattarlo come se fosse una questione civile». A domanda specifica su che tipo di battaglia debba/non debba lanciare la Chiesa Americana in merito al problema dell’aborto, Papa Francesco si fa più diretto “rivolgendosi” alla Conferenza Episcopale da poco rinnovata nei propri vertici apicali: «è un problema della Conferenza episcopale che si deve risolvere al suo interno. Quello che a me interessa è il rapporto del vescovo con il popolo, che è l’aspetto sacramentale. L’altro è quello organizzativo e le Conferenze episcopali a volte si sbagliano. Basta guardare la Seconda Guerra [mondiale], alcune scelte che qualche Conferenza episcopale ha fatto e si stava sbagliando da un punto di vista politico e sociale. A volte vince una maggioranza che forse non è quella che ha o meno ragione. Che sia chiaro: una Conferenza episcopale normalmente deve esprimere le sue opinioni su fede e consuetudini, ma soprattutto sull’organizzazione diocesana e cose simili». L’elemento primario per Papa Bergoglio deve rimane quello sacramentale e pastorale, «è essenziale. Chiaramente ogni vescovo deve cercare la fratellanza con gli altri vescovi, questo è importante. Ma l’essenziale è il rapporto con il suo popolo».



ABUSI, PAPA FRANCESCO: “LA CHIESA ORA SI FA CARICO DI TUTTO, GRANDE RATZINGER”

Non di solo aborto però tratta il lungo dialogo tra Papa Francesco e i colleghi della rivista dei Gesuiti Usa “America Magazine”: sul problema annoso degli abusi il Santo Padre replica punto su punto alle tante accuse lanciate da diverse parti del mondo contro la struttura stessa della Chiesa Cattolica. «Fino alla crisi di Boston, quando tutto è venuto fuori, nella Chiesa si operava cambiando di posto qualche autore di abusi, coprendo, è così che si fa nelle famiglie oggi. Il problema dell’abuso sessuale è gravissimo nella società», introduce il Papa riportando una statistica tutt’altro che secondaria nell’affrontare la complessa tematica della pedofilia. Bergoglio spiega infatti «Quando ho avuto la riunione con i presidenti delle Conferenze episcopali due anni e mezzo fa, ho chiesto le statistiche ufficiali: il 42-46% degli abusi avvengono in famiglia o nel quartiere. Poi segue per numero il mondo dello sport e quello dell’istruzione, e il 3% sono sacerdoti cattolici. Uno potrebbe dire: “Meno male, sono pochi”. No, se fosse anche solo uno, è mostruoso. L’abuso di minori è tra le cose più mostruose».



La Chiesa, grazie alla scelta coraggiosa e storica di Papa Benedetto XVI, ha deciso anni fa di affrontare (con ritardo) la questione a livello interno: spiega ancora il Pontefice, «La Chiesa ha fatto una scelta: non coprire. E da lì si è proceduto attraverso processi giudiziari e la creazione della Pontificia Commissione per la Tutela dei Minori. Lì è stato grande il cardinale O’Malley, di Boston, che ha avuto l’idea di istituzionalizzare tutto ciò all’interno della Chiesa. Quando la gente onesta vede come la Chiesa si fa carico di questa mostruosità, vede che una cosa è la Chiesa e un’altra sono gli autori di abusi che sono all’interno della Chiesa e che sono puniti dalla Chiesa stessa. Benedetto XVI è stato grande nel prendere queste decisioni. È un problema “nuovo”, tra virgolette, nella manifestazione, ma eterno, poiché esiste da sempre». Nell’intervista Papa Francesco racconta un piccolo aneddoto rispetto al rapporto cui la Chiesa dovrebbe tendere nel trattare – oltre al sacrosanto tema delle indagini e delle commissioni trasparenti – il tema degli abusi: «Un aneddoto: quando ero in Irlanda mi hanno chiesto udienza delle persone vittime di abusi. Erano sei o sette e sono venute un po’ così (arrabbiate) all’inizio e avevano ragione. Ho detto loro: “Guardate, facciamo una cosa, domani devo dire l’omelia. Perché non la prepariamo insieme, su questo problema?”. E allora si è verificato un fatto bellissimo, perché quella che era semplicemente una protesta si è trasformata in qualcosa di positivo e tutti insieme hanno preparato con me l’omelia del giorno seguente».