Probabilmente pochi elementi marchiano a fuoco la nostra epoca quanto la sua incapacità di dare un posto allo stupore ed alla meraviglia. In un mondo realistico e disincantato, per parlare di stupore bisogna riferirsi ai bambini: l’unica fascia sociale per la quale lo riconosciamo come legittimo. Così lo stupore ha vita breve e la meraviglia non abita più qui. Ecco perché la provocazione del Meeting coglie l’essenza della nostra contemporaneità, quel disincanto che ci avvia all’indifferenza, e proprio in questo coglie anche l’essenzialità della proposta cristiana: quel recupero dell’essere nella sua verità, nella sua infinita meraviglia di stupire, con la bellezza dei suoi gesti, la gratuità totale che ci rende immediatamente oggetti di affetto e di prossimità.



Nel suo saluto augurale al Meeting di Rimini Papa Francesco, riportando alla memoria il nostro stupore dinanzi alla compassione della quale si sono resi capaci medici e infermieri dinanzi all’epidemia del Covid-19, ci consente di cogliere l’ampiezza di un bene che non può non meravigliarci.

Certamente, dinanzi all’altruismo di medici volontari, di infermieri che hanno dimenticato turni e famiglia, con il volto piagato da mascherine indossate per giornate intere, oppure svenire esausti davanti al computer, la realtà non ha mancato di mostrarci un volto della gratuità e del bene che non ci attendavamo.



E non basta, anche al di fuori degli ospedali, tra datori di lavoro che hanno messo le mani sul loro patrimonio personale per non lasciare gli operai senza stipendio, anticipando sussidi statali pervenuti con mesi di ritardo; ma anche tra operai, impiegati e insegnanti che anziché girarsi dall’altra parte hanno raddoppiato l’impegno, apprendendo in tempo reale a destreggiarsi con un universo di lavoro da terminale remoto per loro sconosciuto.

È un intero universo del bene che, ancora una volta, è riemerso, tra le pieghe di una pandemia che ci costringeva all’isolamento, e quindi, alla paura.



Papa Francesco ci invita, a ragione, a guardare tutto questo.

Eppure quanto di questo dilagare del bene ha lasciato un segno? Quanta di quella meraviglia, dopo pochi mesi di distanza, è rimasta nei nostri cuori? Quanto di quel prodigio di energie e di gratuità che ci hanno tutte mostrato il volto del bene inatteso, ha forato le nostre coscienze, ridestando l’immagine di un bene che c’è e che, nonostante tutto, riusciamo a non vedere? Perché, dopo qualche mese, tutto sembra essere già archiviato sotto il peso di nuove paure e di nuove emergenze? Perché siamo così “privi di meraviglia” e, quando il sublime dell’animo umano si manifesta, sembra durare così poco, quasi non fare breccia nel nostro irriducibile disincanto? Perché il bene, così totale e così gratuito, non sembra trovare posto nella rappresentazione che ci facciamo del mondo e della vita; spingendoci addirittura a considerarlo come un’eccezione, pronta a crollare sotto il peso del suo contrario: il primato dell’indifferenza? Perché siamo così “privi di meraviglia” e, non prendendo il bene sul serio, siamo così strutturalmente disincantati al punto da diventare, intimamente e sostanzialmente, dei “non credenti”?

In realtà se lo stupore e la meraviglia nascono da un’intima fiducia nel vero, è proprio questa a venire meno. La fiducia è scavalcata e superata dal dubbio, dal sospetto che tutto ciò a cui si è assistito non sia che momentaneo, circoscritto nello spazio di alcune provincie del Nord e nel tempo di un’emergenza pandemica senza precedenti. Le immagini dei nostri eroi negli ospedali svaniscono rapidamente, bruciate da un’altra emergenza e dissolvendosi in un eterno presente, dove tutto è cronaca, avvenimento dopo avvenimento, e nulla riesce a sedimentare un reale mutamento d’epoca, tanto siamo oramai estranei all’ipotesi che possa esistere un Vero ed un Bene.

Esattamente come abbiamo destrutturato la bellezza, che da rilancio verso l’infinito è stata ridotta al suo esatto contrario, quella di un semplice artificio per attrarre verso il contingente; così abbiamo destrutturato la verità, riducendola a cronaca: altrettanti fatti parziali, segmentati e dispersi in un universo eterogeneo, dove compare di tutto e il suo contrario.

Ora è proprio il ribellarsi ad un simile riduzionismo e il considerare questo nostro essere privi di meraviglia come un vero e proprio scandalo del nostro essere; il denunciarlo come una pericolosa involuzione dell’umano che finisce per far scolorire ogni gesto di bontà, che costituisce il fronte decisivo sul quale ci si gioca la scommessa per una società restituita all’umano. Si realizza così uno spettacolare punto di convergenza nel quale chiunque abbia a cuore le sorti dell’uomo e della città che ha edificato, non può non riconoscersi. Ciò che appare significativo è proprio come la sensibilità religiosa e quella laica aperta al bisogno di significato, finiscano sempre per ritrovarsi dalla stessa parte, in una lotta comune contro il primato dell’effimero. Abbiamo bisogno di meravigliarci della bontà dell’umano e del suo desiderio infinito di bene per recuperare quel sublime che ci accompagna, rendendoci magari capaci di essere come quegli infermieri e quei medici che hanno affrontato la pandemia, o almeno essere degni della loro amicizia.

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