«Gesù disse una volta: ci sono due Signori nel mondo, Dio e il denaro, chi serve il denaro è contro Dio» e poi ancora, «i mafiosi sono gli Erodi di oggi»: ovviamente Papa Francesco nell’ultima Udienza Generale prima di Pasqua e nella sua prefazione al libro su Rosario Livatino (uscita oggi su Repubblica, ndr) ha detto molto altro (anche di ben più pregnante) ma l’attenzione della cronaca e dei media non può che non soffermarsi su questi due concetti che pongono il Santo Padre sulla “scia” dei suoi predecessori. Mafie e soldi ‘sporchi’ sono in contrasto con il Credo e la testimonianza di pace che Gesù ha portato nel mondo e il Papa lo sottolinea nella sua catechesi sul Triduo Pasquale.
«Le guardie, i soldati, che erano nel sepolcro per non lasciare che venissero i discepoli e prendessero il corpo, lo hanno visto: lo hanno visto vivo e risorto. I nemici lo hanno visto, e poi hanno fatto finta di non averlo visto. Perché? Perché sono stati pagati», spiega Papa Francesco riportando l’attenzione sul concetto negativo del denaro, «Chi serve il denaro è contro Dio”. E qui è il denaro che ha fatto cambiare la realtà. Avevano visto la meraviglia della resurrezione, ma sono stati pagati per tacere. Pensiamo alle tante volte che uomini e donne cristiani sono stati pagati per non riconoscere nella pratica la resurrezione id Cristo, e non hanno fatto quello che il Cristo ci ha chiesto di fare, come cristiani». Ricordando come purtroppo anche quest’anno la Santa Pasqua sarà celebrata nel pieno della pandemia, Papa Francesco sottolinea «In tante situazioni di sofferenza, specialmente quando a patirle sono persone, famiglie e popolazioni già provate da povertà, calamità o conflitti, la Croce di Cristo è come un faro che indica il porto alle navi ancora al largo nel mare in tempesta. E il segno della speranza che non delude; e ci dice che nemmeno una lacrima, nemmeno un gemito vanno perduti nel disegno di salvezza di Dio. Non lasciarsi pagare per dimenticare il Signore».
IL PAPA E IL GIUDICE RAGAZZINO
Su Repubblica, come dicevamo, è apparsa oggi in prima pagina la prefazione del Santo Padre al libro che il vescovo di Catanzaro Mons. Vincenzo Bertolone ha dedicato al “giudice ragazzino” Rosario Livatino, prossimo beato il 9 maggio. «L’attualità di Rosario Livatino è sorprendente, perché coglie i segni di quel che sarebbe emerso con maggiore evidenza nei decenni seguenti, non soltanto in Italia, cioè la giustificazione dello sconfinamento del giudice in ambiti non propri, soprattutto nelle materie dei cosiddetti ‘nuovi diritti’, con sentenze che sembrano preoccupate di esaudire desideri sempre nuovi, disancorati da ogni limite oggettivo». Il giudice ucciso barbaramente dalla mafia il 21 settembre 1990 ad Agrigento a soli 38 anni viene identificato dal Papa e dalla Chiesa come perfetto interprete del ruolo di giudice «Soffriva molto nelle pronunce penali nei confronti degli imputati, perché constatava come la libertà, male interpretata, avesse infranto la regola della giustizia».
Non solo, proprio nel momento in cui era costretto a giudicare secondo legge «si poneva da cristiano il problema del perdono. Compiendo quotidianamente un atto di affidamento totale e generoso a Dio, egli è un luminoso punto di riferimento per gli uomini e le donne di oggi e di domani, soprattutto per i giovani che, tuttora, vengono irretiti dalle sirene mafiose per una vita di violenza, di corruzione, di sopraffazione e di morte». La testimonianza da martire di fede e giustizia è un seme di pace che merita di essere ricordato nei secoli: «quelle dette dal giudice Rosario Livatino ai suoi assassini – ‘Picciotti, che cosa vi ho fatto?‘ – scrive ancora Papa Francesco, erano «parole che gridavano contro gli Erodi del nostro tempo, quelli che, non guardando in faccia all’innocenza, arruolano perfino gli adolescenti per farli diventare killer spietati in missioni di morte. Grido di dolore e al tempo stesso di verità, che con la sua forza annienta gli eserciti mafiosi, svelando delle mafie in ogni forma l’intrinseca negazione del Vangelo, a dispetto della secolare ostentazione di santini, di statue sacre costrette ad inchini irriguardosi, di religiosità sbandierata quanto negata».