«Non ridurre la croce ad un simbolo politico o ad un mero oggetto di devozione»: è netto il messaggio lanciato da Papa Francesco nel suo penultimo giorno di visita in Slovacchia (dopo che il viaggio era cominciato dall’Ungheria). Nel cuore dell’Europa dell’Est, a maggioranza cristiana ma più legata a valori conservatori e indentitari, il discorso del Santo Padre scuote in qualche modo i rapporti tra fede e “simboli”, soffermandosi sull’immagine centrale della cristianità, ovvero il crocifisso.



Nel giorno in cui la Chiesa Cattolica celebra l’Esaltazione della Santa Croce, Papa Francesco spiega nella Divina Liturgia bizantina di San Giovanni Crisostomo a Presov «Agli occhi del mondo la croce è un fallimento. E anche noi rischiamo di fermarci a questo primo sguardo, superficiale, di non accettare la logica della croce; non accettare che Dio ci salvi lasciando che si scateni su di sé il male del mondo. Non accettare, se non a parole, il Dio debole e crocifisso, e sognare un dio forte e trionfante. È una grande tentazione». Quella del «cristianesimo dei vincitori» è un’immagine spesso usata da Papa Bergoglio per contrastare l’aspetto “trionfalistico” della fede cristiana: invece il cristianesimo è tale solo se si scorda la “mondanità”, altrimenti diverrebbe «sterile» secondo il Pontefice. Cristo ha insegnato all’uomo a vedere la gloria nella croce: ma questo non può avvenire comprando un libro e “imparando”, prendendo crocifissi da riempire «collo, casa, macchina e tasca».



LA CROCE È TESTIMONIANZA

Nulla di tutto questo, come ha ribadito Papa Francesco davanti al piazzale gremito di Presov, «non serve se non ci fermiamo a guardare il Crocifisso e non gli apriamo il cuore, se non ci lasciamo stupire dalle sue piaghe aperte per noi, se il cuore non si gonfia di commozione e non piangiamo davanti al Dio ferito d’amore per noi. Se non facciamo così, la croce rimane un libro non letto, di cui si conoscono bene il titolo e l’autore, ma che non incide nella vita. Non riduciamo la croce a un oggetto di devozione, tanto meno a un simbolo politico, a un segno di rilevanza religiosa e sociale». Serve vederla, penetrarla e recuperare la testimonianza di quella croce: «la testimonianza può essere inficiata dalla mondanità e dalla mediocrità. La croce esige invece una testimonianza limpida. Perché la croce non vuol essere una bandiera da innalzare, ma la sorgente pura di un modo nuovo di vivere. Quale? Quello del Vangelo, quello delle Beatitudini». Servono testimoni, non “vincitori” per comunicare la novità del Cristo per l’uomo contemporaneo: «Conservate il ricordo caro di persone che vi hanno allattato e cresciuto nella fede. Persone umili e semplici, che hanno dato la vita amando fino alla fine. Sono loro i nostri eroi, gli eroi della quotidianità, e sono le loro vite a cambiare la storia. I testimoni generano altri testimoni, perché sono donatori di vita. È così che si diffonde la fede: non con la potenza del mondo, ma con la sapienza della croce; non con le strutture, ma con la testimonianza».