Nella sala Clementina, tra marmi policromi e affreschi, che stordiscono per magnificenza e bellezza, Francesco entra dal portone di legno, scaraventando tutto il peso dei suoi 87, faticosi e ingombranti anni, sul bastone a tre piedi. I pochi metri che lo separano dalla sedia, centrata sotto il battesimo di san Clemente dei maestri rinascimentali Cherubino Alberti e Baldassare Croce, diventano una claudicante via crucis. I presenti in sala scelgono di non ritmare l’incedere del pontefice con il silenzio, ma di accompagnarlo con applausi crescenti, quasi un incitamento a non mollare, nella prova di resistenza che il Papa vecchio e malandato è chiamato ad affrontare per conquistare la seduta.



È una scena che si ripete ormai da qualche anno, da quando la gonalgia al ginocchio destro non gli dà pace: una sequenza che diventa straziante, quando con il sorriso, ormai al sicuro tra i braccioli, Francesco ammette di non avere fiato, di non riuscire a cacciar fuori dai polmoni le parole, e di doverle affidare alla voce di un altro. È quello che è successo ieri, con i partecipanti alla seconda edizione della Cattedra dell’Accoglienza, che per 4 giorni si erano interrogati nella Fraterna Domus di Sacrofano su “Vulnerabilità e comunità”, sulle fragilità di un’umanità sempre più bisognosa di consolazione e vicinanza, di sostegno e puntelli.



Un uomo còlto nella sua debolezza, di respiro e di gambe, drammaticamente e inevitabilmente esposto nell’esercizio sempre più duro e scomodo del suo magistero. La pesante fisicità di Bergoglio è un dato che commuove, per come viene trascinata nel lavoro quotidiano, negli appuntamenti marcati nonostante la bronchite, nella volontà ferrea di non venir meno al proprio servizio. Qualcosa di eroico e allo stesso tempo disarmante.

“Quando sono debole, è allora che sono forte” era il versetto della seconda lettera ai Corinzi scelto dagli organizzatori della Cattedra per parlare di chi non ce la fa, mette a nudo il corpo e l’anima lacerati dalle ferite, si abbandona allo sguardo compassionevole e alla cura dei buoni samaritani di oggi. Un’immagine evangelica che disegna bene la testimonianza che il Papa offre: “Santo Padre lei è più vulnerabile oggi, ma è un gigante” gli ha sussurrato suor Milena, una delle sorelle della Fraterna Domus, dopo aver ascoltato un discorso in cui veniva raccomandato che non si parlasse della vulnerabilità secondo il “politicamente corretto”, come di una categoria, un topos, un insieme di individui senza volto a cui contrapporre “prestazioni” un tanto al chilo.



E il Papa anziano, con il fiato corto, perseguitato dall’influenza stagionale e costretto alla comunicazione per procura, ha risposto “È nella vulnerabilità che trovo forza”. L’eco del monito di san Paolo, in una risposta fulminea e illuminante. “È bello” ha aggiunto per sottolineare che la fragilità sperimentata non è che una possibilità di seguire Cristo, colui che si è fatto “vulnerabile” fino alla passione.

Il Papa che non ha letto il discorso, perché non aveva la forza, ha però salutato tutti i 150 presenti, stringendo mani, ascoltando supplice, dispensando sorrisi. Mirko, 10 anni di carcere e altri 4 davanti, il viaggio dalla Sicilia, il sapore appagante della libertà di un permesso premio e l’esperienza inedita da corsista ad un evento che parlava anche della sua vita, aveva passato la notte a contare i minuti che lo separavano dall’incontro con Papa Francesco. Era rimasto appiccicato a don Francesco Pirrera, cappellano della casa circondariale di Trapani e della casa di reclusione di Favignana, sempre abbinato a Sergio, l’altro ragazzo che come lui aveva ottenuto il ticket per partecipare alla Cattedra dell’Accoglienza, un ventitreenne incapace di dominare l’emozione, bisognoso di un’interprete del proprio cuore ammutolito. Le mani di Mirko, sempre sudate, avevano cercato per tutta l’udienza il pacificante contatto con suor Maria Domenica, anche lei parte del gruppo che ha catturato la fiducia dei magistrati, aperto le porte di una casa che è famiglia, lasciato intravvedere la Speranza.

Quando è arrivato il suo turno, lui si è buttato nell’abbraccio del pontefice. Gli ha detto “Anche io sono un vulnerabile. Ho commesso un reato. Questo sono io con il mio peccato”. E poi gli ha chiesto di essere assolto. E allora il Papa che non riesce a parlare, che pianta ogni passo soffocando il dolore, che deve strappare il fiato ai polmoni, si è fatto strumento della Misericordia di Dio. L’assoluzione e la carezza a Mirko, per ritornare ad essere forte. Tanto da desiderare un futuro.

— — — —

Abbiamo bisogno del tuo contributo per continuare a fornirti una informazione di qualità e indipendente.

SOSTIENICI. DONA ORA CLICCANDO QUI