Prima del Santo Padre che nell’omelia di domenica ha auspicato una forte presenza femminile nella Chiesa e nelle Istituzioni in ruoli decisionali ho avuto la fortuna di ascoltare e comprendere dal Cardinale Biffi quanto già nel Vangelo di Luca questo valore sia stato riconosciuto, poiché oltre a essere chiamato il Vangelo della misericordia, dei poveri e della gioia, viene anche chiamato il Vangelo delle donne. Luca riconosce alle donne un’importanza fondamentale, mentre Matteo cita Giuseppe, padre umano, adottivo del Figlio di Dio, e le sue decisioni, suggeritegli dall’angelo apparso in sogno, e la madre non parla mai. Luca apre il suo scenario con la presenza forte di figure femminili e l’incidenza evangelica delle loro parole, e alle donne viene conferita una piena dignità anche attraverso dei gesti. L’Angelo rivolge il saluto a Maria di Nazareth ed è Elisabetta che sceglie il nome di Giovanni. Queste due donne, prive di ruoli istituzionali, di strutture e di ministeri, tradizionalmente conferiti ai maschi, diventano le interlocutrici e le «mediatrici» di Dio, solo in virtù della loro fede.



Maria ed Elisabetta conoscono la parola di Dio, la accolgono, la incarnano. Poi c’è Anna, anziana rimasta vedova da giovane, di cui Gesù fermerà le lacrime, che rappresenta la metafora di Gerusalemme, la città di Dio che vedrà massacrati i suoi figli. Tutte le discriminazioni stabilite – culturali, sociali, religiose, antropologiche – si azzerano; la fede abbatte ogni muro, va oltre ogni ruolo e ogni barriera, compresa quella tra i generi. È a una donna che, nel Magnificat, viene concesso di parlare e il cantico contiene già tutto il Vangelo. Maria sostituisce alla paternità di Abramo – esclusiva di un popolo «eletto» – la maternità di un popolo universale, fatto di tutti «coloro che Egli ama».



Nel Vangelo di Luca sono almeno tre le donne importanti di nome Maria. Alla madre del corpo di carne, seguirà la madre nel corpo risorto: Maria Maddalena insieme ad altre due donne, Giovanna e Susanna discepole e diacone. Poi Maria, quella di Betania, e Marta: le due sorelle sono le discepole. Marta è la diacona delle mense, mentre Maria è la discepola della parola del vangelo. Altre tre donne attestano la Resurrezione del Signore. Maria di Magdala, Giovanna e Maria di Giacomo. Loro al sepolcro hanno seguito Gesù, al pari degli apostoli, e sono state da lui toccate e guarite; hanno perseverato nella fedeltà e nella sequela – a differenza degli apostoli – fino davanti alla tomba vuota, a ricordare le parole di Gesù, ad annunziare ciò che avevano visto e ascoltato al sepolcro vuoto. E se il Vangelo è l’annuncio della fede nel Signore risorto, allora questa Trinità di donne ne costituisce la parola incarnata.



Ogni donna del Vangelo di Luca porta in sé ruoli fondamentali. Paolo VI ha detto: “Si sentono voci lontane con cui prima o poi dovremo avere a che fare: sono voci di donne”. E Giovanni XXIII nel 1963 nella sua Enciclica “Pacem in Terris” ha affermato che il riconoscimento della dignità, preteso dalle donne, era un segno dei tempi con cui i credenti, e quindi la Chiesa, dovevano assolutamente fare i conti, e Francesco già in “Evangelii gaudium” scrive: “Le rivendicazioni dei legittimi diritti delle donne, a partire dalla ferma convinzione che uomini e donne hanno la medesima dignità, pongono alla Chiesa domande profonde che la sfidano e che non si possono superficialmente eludere”.

Mi auguro che il tema della disuguaglianza di genere riproposto da Francesco nella Chiesa e nelle istituzioni aiuti a percorrere un cammino spesso incidentato e non sia solo una questione di numeri, ma soprattutto di ruoli. Aumentare la rappresentanza femminile nella Chiesa nei Parlamenti, nei Governi e nella politica locale rimane solo un primo passo per raggiungere la parità. Gli strumenti adottati faticosamente in politica, come le quote di genere e la doppia preferenza, sono soluzioni che aprono le porte, ma sono ben lontane dal conferire pieno potere politico poiché il sistema sociale alimenta le disuguaglianze con meccanismi di esclusione. Meccanismi che è necessario contrastare, un circuito vizioso che va trasformato in virtuoso cominciando per esempio dal territorio: più donne nel governo degli enti locali, per una migliore rappresentazione delle istanze sociali delle famiglie e delle fasce più deboli, dell’economia, così da conquistare spazio per un impegno sempre più stabile e continuativo delle donne nella vita pubblica, locale e nazionale. Con il fine ultimo, s’intende, di perseguire e raggiungere uno sviluppo del tessuto sociale ed economico davvero più equo e più sostenibile per tutti.

Competenza e merito rimangono la strategia privilegiata su cui le donne puntano per farsi strada nei livelli decisionali e nelle istituzioni. La risorsa che offre loro sicurezza verso se stesse e gli altri e attraverso cui si è in grado di dimostrare il proprio valore, esprimere la propria creatività, per concretizzare le proprie idee. La partecipazione alla vita istituzionale è un itinerario aperto che non prevede, almeno nel breve periodo, esiti definitivi. Ma non c’è dubbio che si tratta di un itinerario che ha bisogno di essere sostenuto da conoscenza, buone pratiche e una forte determinazione. Innanzitutto delle donne. È per questo, caro Francesco, che è giunta l’ora di organizzare il partito delle donne non contro gli uomini, ma per avere una società aperta al cambiamento all’innovazione, ai valori del rispetto, alla pace. Anche tra i generi.

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