PAPA FRANCESCO RISPONDE ALL’ACCUSA DI ESSERE COMUNISTA
Ogni volta che Papa Francesco viene a contatto con il mondo cristiano-cattolico americano, una domanda ciclica riappare di continuo: «C’è chi la definisce un socialista, un comunista, un marxista…». Ebbene, è successo anche nell’ultima intervista corposa alla rivista dei Gesuiti fondata nel 1909, “America Magazine”: tra i tanti temi affrontati, il Santo Padre è tornato su quelle “accuse” che negli anni gli sono piovute addosso per le sue (frequenti) critiche al capitalismo di mercato, a volte espressamente contro l’economia degli Stati Uniti. In questo caso però i giornalisti gesuiti hanno provato a fare un passo in più con Papa Francesco chiedendogli direttamente «come risponde a chi dice che ciò che lei o la Chiesa dite sull’economia non è importante?».
Il Papa con tono diretto si chiede come mai vi siano tutte queste “etichette” attorno al tema: «io comunista? Io cerco di seguire il Vangelo. Mi illuminano molto le Beatitudini, ma soprattutto il protocollo su cui saremo giudicati: Matteo 25. “Ho avuto sete e mi avete dato da bere. Ero in prigione, e mi avete visitato. Ero malato e mi avete curato”. Questo significa, allora, che Gesù era comunista? Il problema che è dietro a tutto questo – e che lei ha individuato correttamente – è la riduzione del messaggio evangelico a un fatto socio-politico». Qui Papa Francesco si fa ancora più netto: «Se io considero il Vangelo unicamente in maniera sociologica, allora sì, è vero, sono comunista e lo è anche Gesù. Dietro alle Beatitudini, però, e a Matteo 25, c’è un messaggio che è quello di Gesù. E che è quello di essere cristiani. I comunisti hanno rubato alcuni dei valori cristiani [risate, ndr]. Altri ne hanno fatto un disastro…».
LA CINA COMUNISTA E IL RAPPORTO CON LA CHIESA: RISPONDE PAPA FRANCESCO
Dall’accusa di essere comunista ad un accordo con chi comunista lo è per davvero, ovvero il regime della Cina di Xi Jinping: in chiusura di intervista ad “America Magazine” viene chiesto a Papa Francesco il rinnovo dell’accordo Vaticano-Cina sulla nomina dei vescovi, pur davanti alle evidenti violenze contro libertà e diritti umani del Paese asiatico. «Non è una questione di parlare o di tacere. Non è questa la realtà. La realtà è dialogare o non dialogare. E il dialogo si conduce fino al punto dove è possibile farlo», spiega nettamente il Santo Padre citando l’esempio del Cardinal Casaroli come massimo esempio moderno nella Chiesa sul terreno del dialogo diplomatico, «I Papi – e intendo Paolo VI e Giovanni XXIII – lo inviarono soprattutto nei Paesi dell’Europa centrale per cercare di ri-stabilire le relazioni nel periodo del comunismo, durante la Guerra fredda. E quest’uomo ha dialogato con i governi, lentamente, facendo quel che poteva, e lentamente è riuscito a ri-stabilire la gerarchia cattolica, in quei Paesi».
Papa Francesco ha scelto nel rapporto difficile con la Cina proprio la via del dialogo: una via che il Santo Padre definisce «lenta», con dei contraccolpi ma anche con dei successi: «io non trovo un’altra via. E voglio sottolineare questo: il popolo cinese è un popolo con grande saggezza e merita il mio rispetto e la mia ammirazione. Davanti a loro, tanto di cappello! Per questo cerco di dialogare, perché non stiamo andando a conquistare un popolo, no! Lì ci sono dei cristiani. Hanno bisogno della nostra attenzione in modo che possano essere bravi cinesi e bravi cristiani».