«Dopo tanti mesi riprendiamo il nostro incontro faccia a faccia e non schermo a schermo. Faccia a faccia. Questo è bello!», così Papa Francesco ha voluto aprire l’Udienza Generale del mercoledì, la prima in presenza di pubblico (nel Cortile di San Damaso del Palazzo Apostolico, non più in Piazza San Pietro) dopo l’emergenza Covid-19 scoppiata lo scorso febbraio. «L’attuale pandemia ha evidenziato la nostra interdipendenza: siamo tutti legati, gli uni agli altri, sia nel male che nel bene. Perciò, per uscire migliori da questa crisi, dobbiamo farlo insieme. Insieme, non da soli, insieme. Da soli no, perché non si può! O si fa insieme o non si fa. Dobbiamo farlo insieme, tutti quanti, nella solidarietà. Questa parola oggi vorrei sottolinearla: solidarietà»: su questo si permea la catechesi di oggi, con la solidarietà rapportata alla virtù della fede. Per il Santo Padre, la solidarietà non è solo una questione di aiutare gli altri, che comunque resta cosa buona e giusta, «si tratta di giustizia. L’interdipendenza, per essere solidale e portare frutti, ha bisogno di forti radici nell’umano e nella natura creata da Dio, ha bisogno di rispetto dei volti e della terra». Con la Pentecoste, ribadisce Papa Francesco, Dio si fa presente e ispira la fede della comunità unita nella diversità e nella solidarietà: «Diversità e solidarietà unite in armonia, questa è la strada. Una diversità solidale possiede gli “anticorpi” affinché la singolarità di ciascuno – che è un dono, unico e irripetibile – non si ammali di individualismo, di egoismo».

L’APPELLO DEL PAPA PER IL LIBANO

E così il Papa chiosa l’Udienza Generale ricordando come o nel post-pandemia Covid il mondo ritorna ad una interconnessione tra solidarietà e realtà, oppure «le cose saranno peggiori. Voglio ripeterlo: da una crisi non si esce uguali a prima. La pandemia è una crisi. Da una crisi si esce o migliori o peggiori. Dobbiamo scegliere noi. E la solidarietà è proprio una strada per uscire dalla crisi migliori, non con cambiamenti superficiali, con una verniciata così e tutto è a posto. No. Migliori!». Per questo nel mezzo della crisi, serve – in ultima analisi – «una solidarietà guidata dalla fede ci permette di tradurre l’amore di Dio nella nostra cultura globalizzata, non costruendo torri o muri – e quanti muri si stanno costruendo oggi – che dividono, ma poi crollano, ma tessendo comunità e sostenendo processi di crescita veramente umana e solida». Nella parte finale dell’udienza, salutando il popolo di fedeli accorso numeroso nel Cortile vaticano, il Santo Padre ha ricordato le terribili sofferenze del popolo del Libano: «desidero invitare tutti a vivere una giornata universale di preghiera e digiuno per il Libano, venerdì prossimo, 4 settembre. Io ho l’intenzione di inviare un mio rappresentante quel giorno in Libano per accompagnare la popolazione: andrà il Segretario di Stato a nome mio (Card. Pietro Parolin, ndr), per esprimere la mia vicinanza e solidarietà. Offriamo la nostra preghiera per tutto il Libano e per Beirut. Siamo vicini anche con l’impegno concreto della carità, come in altre occasioni simili. Invito anche i fratelli e le sorelle di altre confessioni e tradizioni religiose ad associarsi a questa iniziativa nelle modalità che riterranno più opportune, ma tutti insieme».