Orgoglio e ricchezza. In fondo, il piccolo arcipelago del Golfo persico si traduce con un binomio perfino irritante se non fosse addolcito dalla proverbiale ospitalità araba. Francesco ne sa qualcosa, unico pontefice ad arrivare per ben due volte in questa regione a lungo off-limits per i successori di Pietro. Del resto, lui è avvezzo a visitare paesi a maggioranza islamica, una dozzina quelli calpestati fino ad oggi, soprattutto se gli inviti sono insistenti e cortesi, e mostrano concrete possibilità di rafforzare legami di amicizia e di dialogo.
Così al secondo giorno in Bahrein la sua missione di pellegrino di pace nel deserto bahrenita può dirsi già compiuta. La visita fortemente voluta dal re Hamad per ammorbidire la sua posizione internazionale, offuscata dall’audace trasformazione dell’emirato in una monarchia costituzionale, si sta rivelando un banco di prova per la democrazia incerta, poco reattiva alle legittime rivendicazioni sul fronte delle libertà politiche e sociali. Ne è una prova anche l’allineata stampa locale, che nelle edizioni online esalta il paese come laboratorio di convivenza, aperto alla diversità, alla ricchezza di fedi, al multiculturalismo, in una cornice di modernità di cui la futurista skyline di Manama, la capitale, è solo la proiezione plastica.
Improntati al pluralismo religioso e alla tolleranza costituzionale gli entusiastici commenti dei bahreniti, pronti a dipingere la dinastia degli emiri, trasformatisi in regnanti, come un esempio per il mondo, in grado di trasmettere il messaggio di tolleranza e convivenza religiosa di cui la presenza del Pontefice è il più fulgido esempio, piatto forte del Bahrain Forum for dialogue: East and West for Human Coexistence. Va detto che qualcosa di vero c’è: innanzitutto la cattedrale, gentile omaggio del sovrano, intitolata a Nostra Signora d’Arabia, nella municipalità di Awali, la più grande chiesa della penisola, dove la sparuta minoranza cattolica può pregare liberamente e pubblicamente, mentre in non pochi paesi limitrofi persino portare una croce al collo può essere fatale.
Ma le perplessità rimangono, soprattutto perché non trovano risposta le molte denunce, di un bel gruppo di Ong, di violazioni dei diritti umani, in gran parte ai danni della maggioranza sciita del paese (46% della popolazione), oppressa e governata dall’élite sunnita (24%).
Le parole pronunciate fin qui da Francesco, chiare e ferme nella difesa della libertà religiosa e della sacralità della vita, rimangono e costringono il regno del Bahrein a fare i conti con le aspirazioni a costruire uno Stato orientato al dialogo e alla cooperazione, che rifiuta la logica del conflitto religioso e i fondamentalismi. Francesco conosce le regole della diplomazia e anche dell’ospitalità: allude, non parla direttamente di pena di morte, stabilmente prevista dalla giurisdizione islamica, ma difende il principio della sacralità della vita, non denuncia persecuzioni, ma invita ad un concetto ampio di libertà di esprimere il proprio credo, che non si limiti alla mera libertà di culto.
Inoltre, come ha dimostrato al Sakhir Royal Palace, parlando ai partecipanti del Forum sulla coesistenza tra Occidente e Oriente, o nella moschea, incontrando il consiglio dei saggi islamici, organismo chiamato a dirimere la conflittualità interna all’Islam, non si è risparmiato nell’invocare quella fraternità che sola può salvare il pianeta dalla tragedia. Non si è stancato di ripetere il suo “no” alla bestemmia del conflitto.
Il piccolo Stato del Golfo è lontano dalla frontiera orientale dell’Europa, ma i venti di guerra soffiano anche nel deserto, nel vicinissimo e dimenticato Yemen, che il Papa non ha avuto paura di citare. Il suo pressing per la pace tra Russia e Ucraina è continuato anche in Bahrein, evocando l’immagine di un mondo in bilico, sospeso sul baratro, appesantito dalle minacce nucleari, accompagnata a quella ancora più inquietante di potenti che giocano con il fuoco, missili e armi che provocano lacrime e morte. Uno “scenario infantile” in cui si muovono però popoli interi, feriti da visioni imperialiste e nazionaliste.
Dopo due soli giorni nel Golfo Francesco incassa già la preziosa alleanza di Sua Maestà il Re del Bahrein, Stato sì piccolo, ma ambizioso, tanto da candidarsi a mediatore della crisi ai confini dell’Europa. Non sappiamo se sarà un tentativo destinato a sfaldarsi. Ma intanto Bergoglio tesse la sua tela per il Bene. Lo scontro di civiltà sembra disinnescato, almeno a giudicare dall’amicizia sempre più fraterna con tutte le anime dell’universo islamico. Ma ora bisogna provare ad azzerare l’odio tra fratelli.
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