Nei giorni scorsi ci sono stati segnali particolarmente significativi sul fronte delle relazioni tra Santa Sede e Cina. Il ministero degli Esteri ha detto che “la parte cinese è positiva e sincera nel migliorare i rapporti sino-vaticani, dà il benvenuto ed è aperta a sviluppare gli scambi bilaterali”. La dichiarazione è stata spiegata dal quotidiano Wenweipo, voce di Pechino a Hong Kong, che ha titolato “Il papa dice: ‘davvero voglio andare a Pechino. Amo la Cina’. La risposta del ministero degli esteri è calorosa”. Ne abbiamo parlato con Francesco Sisci, giornalista, sinologo, esperto di politica estera, in Cina da più di trent’anni.
Partiamo dalle dichiarazioni del ministero degli Esteri. Ci dia la sua chiave di lettura.
Sono senza precedenti e ciò indica che c’è una prima luce verde ufficiale a un viaggio del papa in Cina. Ciò però non significa che ancora non ci siano una serie di semafori rossi per questo viaggio. Né è chiaro quanti siano o quanto tempo ci voglia e cosa ci voglia perché diventino verdi.
Queste aperture allora che cosa significano?
Mi sembra che le due parti sempre più si stiano sintonizzando l’una con l’altra. Nel viaggio di ritorno da Tokyo il papa ha parlato di poesia e tempi nella comunicazione con l’Oriente. Si riferiva chiaramente al Giappone, ma forse credo che intendesse riferirsi anche alla Cina. In Cina anche molte comunicazioni ufficiali sono oblique, non dirette, specie se si è all’inizio e si è in una fase delicata. In qualche modo se si parla troppo direttamente si toglie la poesia e si tolgono tante nuances che sono importanti. Così credo sia adesso.
Cosa significa oggi un viaggio del Papa in Cina?
La questione ha due aspetti. Uno è quello storico. Un Papa voleva una presenza in Cina, voleva andare in Cina, dal 1177, quando papa Alessandro III lesse la Lettera del Prete Gianni, il falso probabilmente di origine bizantina che raccontava di un regno cristiano al di là del mondo musulmano e offriva una grande alleanza contro l’islam. Quindi se Francesco va in Cina compie il sogno di un papa di oltre 800 anni fa. Che poi sono anche i tempi in cui Francesco d’Assisi era andato a parlare con il Saladino.
Ci dia una chiave di lettura della volontà di Francesco vista dalla Cina.
Questo dialogo, questo possibile incontro, sono segno della provvidenza e dunque dello Spirito Santo per la Chiesa. Per la Cina sono destino, volere del Tao.
Ha accennato a due aspetti e quello storico ce lo ha detto. Qual è l’altro?
È quello di oggi. Il momento storico è molto delicato, sta avanzando a rapidi passi una seconda guerra fredda. Se il Papa riuscisse a dare a tutti un momento di respiro e riflessione, sarebbe un miracolo. Certo un viaggio del papa in Cina proprio per questo, per il fatto di avvenire in un tempo di forte conflitto, sarebbe tanto più controverso. Però non meno controverso di quello che fece Francesco d’Assisi, che in mezzo a una guerra guerreggiata cercò la pace con il re degli Arabi musulmani.
Non crede che la prudenza della Cina sia innanzitutto politica?
È evidente. Per la Cina i rischi non sono da sottovalutare. Il presidente Xi Jinping si espone molto sul suo fronte interno. Viene criticato per la decisione di aprirsi ai velenosi e traditori cristiani che da sempre hanno voluto rovesciare il partito comunista. Quindi da parte di Xi c’è un coraggio uguale e forse, sia detto con rispetto, maggiore di quello del Papa. Xi si espone ai rischi oggettivi – oggettivi nel senso di visti dall’interno – che il Papa sobilli il paese in un momento delicatissimo, e che tale apertura al pontefice coalizzi contro Xi le tante forze interne insoddisfatte del suo governo.
Detto questo non bisogna però sottovalutare le difficoltà del Papa. Anche il governo cinese sta studiando il suo interlocutore. Chi è, per il potere cinese?
Vista da qui, la Chiesa è un’associazione volontaria e si regge per un costante e incessante lavoro di comunicazione e creazione di consenso. C’è perfetta consapevolezza che questo non sarebbe il viaggio di un prete o un santo, ma il viaggio del capo della Chiesa.
Lei ha avuto una parte nelle trattative ed è stato il primo ad intervistare papa Francesco per una emittente cinese. Qual è la sua opinione?
Il viaggio è delicatissimo, perché potrebbe essere drammaticamente divisivo per la Chiesa o viceversa farle trovare una nuova unità e una nuova missione. Tutto è estremamente delicato e difficile. Ma in questo il papa è sostenuto e aiutato da uomini come il cardinale Parolin e monsignor Celli, che da oltre 30 anni e con tre papi hanno seguito e seguono il dossier cinese. Credo che Parolin e Celli possano poi essere di aiuto non solo al Papa ma anche alla Cina.
(Marco Tedesco)