KINSHASA (Congo) – Lo confesso, ho ballato anch’io. Se c’è una cosa che ho sempre invidiato ai popoli africani è la capacità di danzare con Dio. È un’esperienza che noi, ingessati e annoiati cattolici d’Occidente, abbiamo perso. Eppure per registrare la vitalità di una Chiesa basta partecipare ad uno dei suoi riti: liturgici, come la messa celebrata nel secondo giorno congolese di Francesco, nell’aeroporto di N’dolo, oppure aggregativi e identitari, come l’impatto con i 65mila giovani ed oltre, nello Stadio dei Martiri di Kinshasa.
Per sgombrare il campo da fraintendimenti, i martiri a cui si fa riferimento sono quelli laicissimi della guerra civile, quattro politici impiccati il 1° giugno 1966 perché accusati dai aver cospirato contro il dittatore di allora, Mobutu. Non è un caso che di partecipazione civile, cittadinanza attiva, costruzione del bene comune i giovani congolesi stiano imparando a parlare. Temi che da noi, tranne poche eccezioni, fanno scattare gli sbadigli ai loro coetanei, qui infiammano gli stadi.
Basta vedere quel che è successo. Prima l’arrivo di Francesco, lungo la pista rossa di polvere, al ritmo forsennato di musiche e balli. I gradoni e le tribune palpitanti, corpi e volti che esplodevano di energia e vitalità. Roba che se la Chiesa universale venisse contagiata da simile passione avrebbe risolto metà dei suoi problemi. Bello, commovente, antidepressivo.
E poi il modo in cui questa massa magmatica ha iniziato a interloquire con Francesco ha fatto crescere i livelli di speranza a chi non perde occasione per lagnarsi dell’immutabilità dei drammi regionali. Il Papa ha detto poche cose, molto concrete: prendete in mano il vostro Paese, il vostro futuro, la vostra vita. Contate le dita. Cinque. Come i cinque ingredienti fondamentali per provare a capovolgere un destino che sembra già inscritto nella cultura dello scarto e della povertà. Uno, preghiera, acqua dell’anima. Due, comunità, quella che ti salva quando non imbocchi la strada giusta, quando ti fai di droga, quando ti lasci sedurre da occultismo e stregoneria, cose che da questa parte del mondo vanno per la maggiore. Non che anche qui i ragazzi non stiano incollati al telefonino, esattamente come in ogni altro angolo del pianeta, ma la situazione, drammatica, esplosiva, perennemente incerta rende più tesi, più pronti a recepire ciò che è essenziale. A distogliere gli occhi insomma dagli schermi, sebbene la voglia di fuggire da certe realtà sia fortissima. Ma è stato il terzo dito a scatenare il putiferio. Dito medio. Non a caso forse. Cattelan sarebbe orgoglioso di come questi ragazzi hanno risposto a Francesco, al suo invito all’onestà. Hanno interrotto il Papa che non riusciva a parlare. Un consenso così totale, rotondo, assoluto da far capire molte cose. Innanzitutto la rabbia, la santa rabbia che cova l’ultima delle generazioni a cui hanno letteralmente rubato il futuro, saccheggiando la terra, il sottosuolo, la foresta pluviale più grande del mondo. Insomma il medio ai cattivi che si spartiscono il Paese senza nessun pudore. E poi la coscienza retta, formata, educata dai pulpiti e nelle scuole, che rinnega la corruzione. Come fece l’eroe di questi ragazzi, Floribert Bwana Chui, giovane doganiere e studente di legge, ucciso a Goma per aver detto no alla sporcizia, a chi cercava di avvelenare la sua gente, rifiutando la bustarella che avrebbe consentito a merce avariata di arrivare sul desco poverissimo di comunità poverissime. Il Papa che chiede di dire “no” alla corruzione e quelli che non lo fanno più parlare, alzando cori all’indirizzo del non proprio limpidissimo presidente Tshisekedi, roba del tipo “la partita è finita, vai a casa”. E dire che non è neanche dei peggiori.
Ma quello che conta è la reattività, la capacità di ascoltare e prendere il largo. Di assorbire la riflessione e partire in quarta. Bello. Da invidia. E tutto generato nelle parrocchie, da semplici catechisti e preti, magari imperfetti e fragili, ma che ci credono. Neanche un grammo di retorica, solo forza attrattiva del Vangelo. Ragazzi capaci di indignarsi, ma di seguire il Papa anche sulle parole più difficili: perdono e servizio. Non so come. Ma la Chiesa congolese ha una ricchezza imparagonabile all’oro, ai diamanti e al cobalto delle miniere.
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