HIROSHIMA e NAGASAKI (Giappone) — La campana di Hiroshima torna a risuonare. I rintocchi si infrangono contro ciò che resta del Genbaku Dome, la cupola ondulata che si specchiava sulla riva del fiume Motoyasu. Prima che tutto venisse risucchiato dal fungo bianco. È una notte dolce e profonda quella che avvolge il memoriale della Pace ad Hiroshima. Il silenzio tutto venne divorato da un buco nero di distruzione e morte. Un bagliore e poi il nulla di vite e sogni, affetti e speranze.



Francesco conclude la sua via crucis tra le due città martiri di Nagasaki e Hiroshima, nel suo secondo giorno giapponese, e fa risuonare dall’abisso di silenzio il grido di coloro che non ci sono più. Gli 80mila scomparsi con lo sgancio di Little boy, l’atomica all’uranio e i 140mila la cui agonia si è protratta per mesi. Leader di diverse fedi e sopravvissuti sono accanto al pontefice a ricordare l’ora tremenda che segnò per sempre la vita del Giappone e dell’umanità. Soffi di vita come l’esile Yoshiko, anziana minuscola e bellissima che con controllo straordinario racconta gli incubi della sua insperata vecchiaia, i cadaveri che marcivano e che non riesce a dimenticare, il fumo bianco, le rovine in fiamme, la follia e la disperazione di chi era stato risparmiato, gli zombi dai corpi arrostiti, i capelli dritti, le labbra e la pelle penzolanti.



Francesco si inchina di fronte alla dignità di chi ha lottato con la morte per conservare la sua vitalità. Abbraccia, ascolta, accarezza. Asciuga lacrime, come fa chi sa che la consolazione è la più grande prova d’amore. Poi ribadisce che l’uso dell’energia atomica per fini di guerra è un crimine ed è immorale. Non solo, anche il semplice possesso di armi atomiche lo è. Sogna un mondo di pace Francesco, ma sa che deve fondarsi sulla Verità e la Giustizia. E non sulle armi che generano cattivi sogni. E infine il grido: mai più la guerra, mai più il boato delle armi, mai più tanta sofferenza.



Sono le parole trattenute un giorno, da quando in mattinata aveva incontrato il dolore e l’orrore, indicibile, di Nagasaki. Nell’Hypocenter dove è ancora visibile il cratere scavato dalla bomba atomica del 9 agosto 1945, Francesco aveva condannato con altri accenti un mondo dove la corsa agli armamenti non tiene conto dei milioni di poveri che vivono in condizioni disumane. Un attentato continuo che grida al cielo, che al sogno di un mondo libero da armi nucleari preferisce la diffidenza reciproca, le dinamiche che attentano all’architettura di controllo internazionale degli armamenti.

Nella mattinata battuta dalla pioggia scrosciante il Papa si era rivolto ai leader politici per incoraggiare il disarmo e la non proliferazione delle armi nucleari, denunciando il loro impatto catastrofico su umanità e ambiente, invitando a non rafforzare il clima di paura e ostilità fomentato dalle dottrine nucleari. Un discorso più freddo e lucido forse, ma ugualmente mirato a garantire alleanze per il bene di tutti. “Nessuno può essere indifferente davanti al dolore di milioni di uomini e donne – aveva detto – che ancora oggi continua a colpire le nostre coscienze. Nessuno può essere sordo al grido del fratello che chiama dalla sua ferita”.

E nessuno, di fronte al disastro dell’umano, può fare a meno di pregare. Così Francesco ha fatto recitare a tutti, credenti e non credenti, la preghiera per la pace del poverello di Assisi.

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