Qualche giorno fa la newsletter di un prestigioso quotidiano ha trovato un titolo perfetto per definire il viaggio di Papa Francesco in Indonesia, Papua Nuova Guinea, Timor Est e Singapore: mai così lontano. Il riferimento non era soltanto alla distanza geografica che caratterizzava la visita papale, e che catapultava il successore di Pietro dall’altra parte del mondo, ma descriveva una misura teologica, politica e culturale. Andando pellegrino a Timor Est, Francesco si è trovato dinnanzi una Chiesa profondamente diversa da quella europea. Una comunità cristiana certamente non in crisi – basti pensare che più della metà della popolazione dello Stato ha partecipato alla celebrazione eucaristica (come se da noi si recassero a Messa alla domenica circa trenta milioni di persone) – una comunità cristiana che pare reggere al dilagare delle ideologie e che mostra una solidità di fede che non coincide con l’arroccamento che spesso si vede in alcune realtà del vecchio continente o del cattolicesimo americano: la compattezza della Chiesa di Timor Est deriva dalla gioia, dall’essere stata perseguitata, dal percepire il credere come un’istanza di libertà.



La nostra solidità, invece, deriva spesso dal timore, dalla necessità di fare quadrato attorno ad un nemico, dal nutrirsi di parole antiche che difficilmente hanno un valore vivo e vitale nel presente. Non è un caso che Francesco, davanti a cotanto spettacolo, abbia usato parole e accenti nuovi, profondamente segnati dalla gratitudine e dalla meraviglia: “A Timor Est è bello perché ci sono tanti bambini: siete un Paese giovane in cui in ogni angolo si sente pulsare, esplodere, la vita. Fare spazio ai bambini, ai piccoli, accoglierli, prendersi cura di loro, sono proprio gli atteggiamenti che ci aprono all’azione del Signore”.



Bergoglio sceglie di indicare nel rispetto della vita il valore che può far crescere Timor Est come collettività e come comunità cristiana. La fede o diventa un attaccamento ultimo e radicale all’esistenza – dal primo istante del suo concepimento fino all’ultimo passo della sua decrepita vecchiaia – o resta un’emozione, un’astrazione forte che non sa interagire con le domande più profonde dell’uomo. Cristo entra nel mondo per dire all’uomo: “Tu vali”. Fa effetto evidenziare come il Papa si preoccupi di questo dinnanzi ad una comunità giovane e “in forma”, quasi temesse che la positività del cammino nascondesse un’ultima assenza di giudizio. Quando la Chiesa si espone con forza su tematiche come l’aborto o l’eutanasia non lo fa per difendere una cultura o una civiltà, ma per riaffermare la possibilità che ognuno di noi ha di farsi sorprendere e abbracciare dallo sguardo rivoluzionario di Cristo. La rivoluzione è il valore, la rivoluzione è la dignità, la rivoluzione è quest’affermazione di qualcosa che viene prima di ogni merito: l’amore di Dio che continuamente ci genera e ci “getta” nel mondo.



Coerentemente con questo messaggio, l’altro pilastro della lunga esperienza papale nell’estremo oriente si è concretizzato a Singapore nel dialogo che Francesco ha tenuto quasi a braccio con i giovani del Catholic Junior College in un contesto interreligioso e, quindi, per sua natura aperto ai contributi di tutte le altre fedi religiose. Qui Bergoglio ha esordito con una frase in continuazione piena con la proposta culturale e spirituale formulata a Timor Est: “Alla gioventù piace andare verso la verità. Un giovane deve essere critico in questo percorso. Un giovane che non critica non va bene. Ma la critica serve per costruire: i giovani devono avere il coraggio di costruire, di uscire dalle zone confortevoli. Non abbiate paura! La paura è un atteggiamento dittatoriale che ti rende paralitico, ti paralizza”. Il passaggio successivo alla cura per la vita, al non perdere il valore della vita, è – per il Papa – un passaggio educativo. L’educazione, anche qui, non è un fatto mentale, ma un’esperienza che sostiene la strada dell’altro in un cammino in cui le certezze dell’uomo vecchio sono abbandonate in virtù della certezza dell’amore di Cristo, un amore che rende capaci di critica costruttiva al mondo che ci circonda.

Mentre da questa parte del mondo le polemiche di fine estate continuavano ad imperversare, il Papa – mai così lontano – indicava nel rispetto assoluto della vita e nell’educazione il metodo perché ogni esperienza di fede possa fiorire. L’uomo fiorisce se conquista la consapevolezza del proprio lavoro e impara a guardare la storia come chi è portatore di un Amore che giudica tutto. Parole che vengono certamente da un altro continente. Ma che, in fondo, sembrano essere scritte per tutti. Come compito ed eredità per tutti.

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