ANTANANARIVO (Madagascar) — Alla fine lo si è visto persino ballare, trascinato in un vortice di salti e ondeggiamenti sul palco. Francesco non avrà avuto neanche la forza, oltre che l’intenzione, di sottrarsi a quell’abbraccio mosso, di corpi e volti che alla fine della veglia, nel campo di Soamandrakizay, hanno fatto esplodere la gioia lunga un giorno. Anzi si è quasi gettato nella mischia, desideroso di restituire un frammento dell’entusiasmo con cui avevano condotto la serata.



Una folla di centomila giovani hanno detto gli organizzatori, giocando al ribasso. Molti di più, per chi li ha seguiti dal tardo pomeriggio fino alla serata di ieri. Ragazzi e ragazze, poco più che adolescenti. C’era anche chi aveva passato la trentina, irrimediabilmente vecchio da questa parte del mondo. Una volta riconsegnato il loro Papa all’ufficialità, si sono messi giù al freddo, sotto un cielo nero, avvolti in coperte, cartone e strati di felpe. Perché i sacchi a pelo in Madagascar, isola rossa nell’Oceano indiano, sono roba da ricchi.



Sono quelli che quando tutto sembra finito e comincia l’attesa per il nuovo evento da vivere con Francesco, la Messa dell’indomani, prima di consegnarsi alla notte, ti dicono guardandoti negli occhi, con tutta la purezza e la verità del mondo, che sì, a loro il Papa ha donato Speranza.

Speranza, parola che perde ogni retorica in un posto dove la polvere sollevata da piedi che ballano entra nei polmoni e spolvera i vestiti. Parola grave e leggera, se a farsene carico sono gli stessi ragazzi che hai visto immersi nelle risaie fino ai polpacci, tra baracche fatiscenti, casupole colorate, a bordo di biciclette scassate o in file infinite lungo strade malmesse. Giovani con i fratellini legati addosso, sugli argini alti dei fiumi, impegnati a lavare i panni da stendere poi su ciuffi di prato. Ragazze bellissime, dagli sguardi intensi, che seguono quasi danzando i cortei di macchine e militari, che accompagnano il pontefice, solo per lanciare un sorriso. La meglio gioventù malgascia. Il futuro del paese, come ha detto il Papa, guardando negli occhi quegli esseri umani che le statistiche posizionano agli ultimi posti di ogni classifica. I poveri più poveri del pianeta. Commoventi nella dignità di cui hanno saputo rivestirsi per accogliere il Vicario di Cristo. Belli, della bellezza che solo la fede può dare. Quella certezza che a definirti non è l’angolo di mondo dove sei nato, quante volte mangi al giorno, le scarpe che indossi, ma il sogno che hai nel cuore. Che nessuno ti può rubare.



Francesco gli ha detto di non correre dietro alle illusioni, di non addormentarsi o addomesticarsi, di non tacere. Invitandoli ad aprirsi agli orizzonti che il Signore mette davanti. Sono la generazione che dovrà salvare il Madagascar, fermando l’emorragia di linfa che deforestazione, contrabbando, bracconaggio e commercio illegale hanno avviato. Non Grete qualsiasi, ma ragazzi costretti a difendere boschi di baobab e palissandro, iguana e ramarri, per sopravvivere. Per non vedere svanire l’unica immensa ricchezza che posseggono, un’isola preziosa per biodiversità, habitat unico di specie animali e vegetali.

La terra rossa di laterite, erosa per il disboscamento, colora i fiumi che si gettano nel mare. Dallo spazio sembra che il Madagascar si stia dissanguando. Francesco ha lanciato un urlo contro i predoni del mondo, chiedendo un sussulto di responsabilità. I giovani malgasci che hanno pregato e ballato con lui ieri sera, oltre e dentro la realtà più drammatica che ci sia, sanno che esiste una felicità che nessuno potrà mai togliere loro. 

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