BUCAREST — Vent’anni fa, nella Bucarest liberata dal giogo comunista, due fratelli si ritrovarono a passeggiare al ritmo di “Unitate, Unitate”, un grido che era sgorgato dal cuore ferito di migliaia di cristiani che, oltre le diverse tradizioni, si erano riconosciuti nel comune dolore, nel sangue versato dei martiri, nell’alienazione feroce della propria identità ad opera di un regime crudele, ateo e materialista. Era il 1999 e Giovanni Paolo II e il patriarca Teoctist inauguravano una nuova stagione ecumenica, durante la prima visita di un Pontefice romano in un Paese a maggioranza ortodossa dallo scisma di Oriente, nel 1054.
Nel nome di quell’incontro, che ha cambiato per sempre la percezione che cattolici romani e ortodossi romeni avevano gli uni degli altri, un altro Papa, Francesco, e un altro patriarca, Daniel, ieri si sono messi l’uno accanto all’altro per riscoprirsi fratelli, come Pietro e Andrea. Lo hanno fatto plasticamente nella cattedrale incompiuta, la chiesa ortodossa della Salvezza del Popolo, il mastodontico tempio che la nazione sta erigendo nel cuore di Bucarest. Sotto le volte ancora imbrigliate da teloni e ponteggi, davanti all’iconostasi d’oro che risplende sui mattoni grezzi, hanno pregato, non insieme, ma insieme. Hanno scelto la preghiera comune, quella del Padre Nostro.
L’hanno fatta risuonare in latino e romeno, la lingua masticata dal popolo. Mentre il tronos, il coro bizantino, elevava canti di bellezza struggente, il Pontefice romano e il patriarca ortodosso, circondati da uomini e donne oranti, si riscoprivano figli. Di quelli che non si giudicano, ma si accolgono nella carità. Sotto i bagliori delle icone dorate, hanno trovato la forza del perdono reciproco, superando la tentazione dell’isolamento e del pregiudizio, del risentimento e della ripicca. Hanno recitato insieme le parole più amate, in successione per non urtare la suscettibilità di chi è arroccato a un passato di separazione, ma custodendo nel cuore il desiderio di “essere uno”.
Così si è concluso il pomeriggio ecumenico di Francesco, con parole che conservavano la forza del grido verso il Padre, nel luogo simbolo della Romania cristiana. E mentre la maggioranza ortodossa recitava la sua “preghiera”, il silenzio meditativo di Francesco ha commosso, diventando segno di un nuovo cammino che proprio dal passato trae il coraggio e l’audacia di una rinnovata amicizia.afrancesco
Bastava osservarli, passeggiare per i saloni del palazzo del patriarcato, prima requisito e poi ridonato all’Ortodossia dallo Stato, Francesco e Daniel, tutti e due vestiti di bianco. Due santità accostate dalla Storia e dal presente. Si intrattenevano senza formalità e cerimonie, raccontandosi storie e aneddoti, spiegando particolari e decori, cronache e tradizioni. Con la curiosità reciproca che hanno i puri quando si scoprono vicini nel cuore.
Le parole spese poco prima nell’incontro sotto la targa che ricordava l’abbraccio di 20 anni fa, tra i due predecessori, avevano già consolidato la propria sostanza, con quel richiamo all’eredità comune, al sangue versato e mischiato da ortodossi e cattolici nei secoli, al cammino nell’ascolto del Signore. “Abbiamo bisogno di aiutarci a non cedere alle seduzioni di una cultura dell’odio e individualista” – aveva avvertito Francesco – una cultura “che forse non è più ideologica come ai tempi della persecuzione ateista, è tuttavia più suadente e non meno materialista”.
L’alleanza nata tra i due fratelli poggia sulle radici salde e sane, investe temi come famiglia e giovani, ma soprattutto è lì a ricordare all’Europa che la sua anima è altrove. Bisogna solo recuperarla.