JUBA (Sud Sudan) – C’è un pizzico di perfidia nel collocare l’incontro tra i Pellegrini di Pace e la manciata di sfollati sud sudanesi con il gravoso compito di rappresentare gli oltre 4 milioni di sradicati, interni ed esterni, sotto un enorme tendone. Loro che sotto gli strati di cerate e altra accozzaglia di fortuna ci passano la vita. Ieri pomeriggio appuntamenti ad alto tasso emotivo per i magnifici tre: Francesco, romano pontefice, Justin Welby, arcivescovo di Canterbury e Iain Greenshelds, moderatore dell’Assemblea generale della Chiesa di Scozia.
Nel primo, sotto teli bianchi e festoni da circo, in un’aerea assediata dalle zanzare, c’erano 2.500 persone, tra bambini, donne, uomini ed anziani. L’ordine non è casuale. Proprio le prime due categorie sono diventate, loro malgrado o per destino avverso, protagoniste dell’evento. Arrivavano dai campi di Bentiu, Malakal, Giuba costretti alla mobilità da catastrofi naturali, guerre e povertà. Proprio ai più piccoli è toccato raccontare la vita nei campi: la dipendenza dagli aiuti umanitari, la scuola che manca. Come lo spazio, la casa, gli amici. L’impossibilità di giocare, soprattutto quando la pioggia impazzita allaga le aree dove si vive ammassati. Non sono giorni, o mesi, e per alcuni neanche anni. Ma decenni. In tanti non hanno conosciuto altro che la precarietà dello status di sfollato, se non quello di rifugiato. Sara Beysolow, rappresentante delle Nazioni Unite, ha denunciato davanti al Papa trascuratezza, violenza sulle donne, rapimenti per ingrossare le file delle milizie o la tratta. Poi ci sono gli shock climatici che finiscono per aggravare una situazione già giunta al punto di non ritorno. In molti potrebbero scommettere, ma ci vuole un bel po’ di fegato a farlo, che il Sud Sudan sarà proiettato al primo posto nella classifica degli Stati che contano le più gravi crisi alimentari di sempre. Un altro record allucinante dopo quello che lo pone all’ultimo posto della lista del benessere. In sostanza il Paese più povero al mondo. Incertezza alimentare e malnutrizione colpiscono due terzi della popolazione e la stima è di circa 8 milioni di persone che soffriranno a causa della crisi alimentare nel 2023.
Violenza intercomunitaria, criminalità e impunità, oltre ad ostacolare l’impegno per la pace del Sud Sudan, finiscono per colpire soprattutto le categorie più vulnerabili: i bambini appunto e le donne, facili vittime di violenza sessuale e di genere. Gli shock climatici aggravano una situazione già di per sé difficile. Mentre i bisogni delle persone aumentano, le risorse disponibili per sostenerle si riducono. Nel corso di quest’anno gli operatori umanitari dovranno reperire 1,7 miliardi di dollari per rispondere ai bisogni di 6,8 milioni di persone. Mancano risorse, e mentre i signori dei clan e delle etnie giocano alla guerra, ogni giorno nei presidi sanitari, nei centri di distribuzione del programma alimentare mondiale, nelle sedi delle congregazioni religiose si devono fare scelte difficili per dare priorità solo a coloro che hanno le necessità più urgenti.
Una situazione drammatica che Francesco conosce. Bene. Per questo finisce per dire l’unica cosa possibile: “sono con voi, soffro per voi e con voi”. E poi conclude la giornata con l’unica cosa possibile da fare: pregare. Anzi supplicare. Sempre insieme ai fratelli che lo hanno accompagnato in questo caparbio e visionario viaggio alle porte dell’inferno. Nel piazzale del Mausoleo “John Garang” si ritrovano oltre 50mila persone ad alzare le mani al cielo, come Mosè. A lottare con Dio. Perché finalmente sollevi il popolo sud sudanese dalla melma in cui l’hanno fatto sprofondare anni di guerra civile e di conflitti interetnici.
E ancora una volta il punto di partenza sono quei tre che hanno deciso di compiere un viaggio che nessuno ha mai fatto prima. Fratelli in Cristo, divisi da secoli di separazione, si ritrovano a testimoniare l’unità possibile. Siamo qua, insieme, sembrava dicessero. Ci siamo odiati, azzannati, ammazzati, ripudiati e scomunicati, ma abbiamo deciso che “essere uno” è più importante nelle cose che contano: volervi bene è una di questa. L’anglicano Justin Welby, nella sua omelia, ha gridato che fratelli e sorelle non possono mai essere nemici. “Non abbiamo bisogno di altri sacrifici, ci basta Cristo”. Affermazione rivoluzionaria se si pensa che a combattersi, esattamente come sul fronte orientale dell’Europa sono, in gran parte, cristiani contro cristiani. Insieme hanno deciso di puntellare il processo di pace in Sud Sudan. E di pregare per questo. Per superare il dolore e trovare la forza per affrontare il dramma del presente, ma anche per riconciliarsi oltre le differenze. “Chi si dice cristiano – ha detto il Papa – deve scegliere da che parte stare. Chi segue Cristo sceglie la pace, sempre. Chi scatena guerra e violenza tradisce il Signore e rinnega il suo Vangelo”. Francesco, Justin e Iain, hanno scelto. Vogliono che i bambini del Sud Sudan tornino a giocare a pallone.
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