Lo chiamano il popolo del sorriso. Per quell’inclinazione gentile a rivolgere all’ospite il mondo all’insù, eppure anche in questo angolo d’Asia le magagne non mancano.

Francesco piomba per il suo 32° viaggio apostolico internazionale in un paese in grande trasformazione, dal governo instabile dove l’equilibrio tra i due eterni pilastri, monarchia Chakri ed esercito, regge, nonostante le follie del rampollo della dinastia dei Rama, con le grottesche carnevalate, il numero imprecisato e variabile di mogli e concubine, la volubilità umorale che solo il potere auto-certificato può dare.



Poi c’è il contorno di generali e graduati che dal 1932, data del primo colpo di Stato nel regno di Siam, detiene il controllo sul paese, aiutandosi, come nel caso del premier, Prayuth Chan-ocha, ex comandante in capo del Reale esercito, da pallidi esercizi di democrazia. Lo scorso marzo ha provato a farsi confermare attraverso “libere elezioni”, cosa che gli è riuscita, attraverso un prevedibilissimo sistema di brogli e inquinamenti del voto.



Il Papa gli ha concesso il beneficio del dubbio, e a dispetto del passato (un precedente tentativo elettorale era stato invalidato dalla Corte costituzionale), nel suo primo discorso nel complesso della Governmental House, si è complimentato per il ritorno a un normale processo democratico.

Tra raffinatezze italiane ed esoticità thai, Francesco si è trovato di fronte a diplomatici, politici e vertici istituzionali a presentarsi non solo pellegrino di pace, uomo del dialogo ed estimatore dell’armoniosa convivenza tra diversi gruppi etnici, ma anche implacabile difensore dei diritti degli ultimi. Nonostante il freddo e ossequioso protocollo asiatico, che regala inchini ingessati e una imperturbabilità generata dalle tecniche ascetiche buddiste, è andato subito a squarciare i veli di connivenza e ipocrisia che avvolgono il fenomeno più ributtante della regione: lo sfruttamento sessuale di donne e bambini, ma anche di esseri umani segnati da una indeterminazione di genere.



Nel paese dove è più facile cambiare sesso che farsi togliere l’appendicite e dove le donne sono obbligate ad un dress code preciso e bigotto in eventi ufficiali (gonne e scarpe chiuse, vietati pantaloni e sneakers) la piaga della tratta e della schiavitù sessuale registra dati da capogiro. Secondo le cifre fornite dalla Commissione nazionale per le donne (la “Thai National Commission for Women”), il numero totale di prostitute al di sotto dei 18 anni di età in Thailandia sarebbe stimabile fra le 30mila e le 35mila unità. Un numero che comprende anche tanti ragazzi, i ladyboy o Kathoey, transgender accolti dalla tollerante società buddista, spesso costretti al mercato del sesso per finanziare la loro transazione da un genere all’altro. Tutti indistintamente finiscono per alimentare da schiavi o schiave il turismo sessuale che vede atterrare charter con folle di uomini occidentali, ma anche giapponesi o coreani, tutti alla ricerca di giovani distrazioni.

Il Papa non ha esitato a parlare delle donne e dei bambini, feriti, violentati, esposti a ogni forma di sfruttamento, schiavitù, violenza e abuso, chiedendo protezione e politiche per un maggiore accesso a scuola e dignità. Una denuncia forte, un colpo al mercato che, secondo le stime dell’Ilo (Organizzazione mondiale del lavoro), solo nell’area muove tra il 2 e il 14% del Prodotto interno lordo.

La chiesa thai è da anni in prima linea contro la tratta degli esseri umani: ha puntato il dito verso la migrazione forzata di ragazzine provenienti da Vietnam, Indonesia, Malesia e Filippine, denunciando anche i rapimenti e gli stupri di giovani donne destinate a matrimoni forzati in Cina. Il problema è così grave che persino nell’omelia della prima messa celebrata a Bangkok, nello stadio nazionale, Francesco è tornato a tuonare, dando voce a quegli esseri umani sfigurati nella loro dignità più autentica: bambini, bambine e donne vittime della prostituzione e della tratta, ma spesso anche di droga e non-senso.

Nella giornata in cui il coloratissimo impatto con il buddismo Therervada nel magnifico tempio Wat Fo, dimora storica del monachesimo thai, ha riproposto il tema del dialogo interreligioso e la cultura dell’incontro, le nuvole di tela arancione, le suggestioni di rose e crani pelati, gli inchini acrobatici e i cardinali esposti nei calzini colorati, non devono distrarre dalla prima battaglia comune. La protezione e la tutela dei piccoli.

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