Nell’enciclica Centesimus Annus san Giovanni Paolo II invocava, quasi vent’anni fa, una nuova alleanza fra mercato libero e solidarietà. La via che ha scelto l’Occidente è stata diversa. Abbiamo avuto molto mercato (però non molto libero), ma poca solidarietà.

Adesso papa Francesco denuncia la crisi in atto del capitalismo. Non è la crisi “economica” immaginata da Marx. È una crisi culturale e morale, che poi alla fine si ripercuote sull’economia. Un’economia che funziona così distrugge l’uomo e l’uomo distrutto naturalmente non è in grado di far funzionare l’economia. Il mercato è una delle istituzioni di una società libera, ma non può essere l’unica. Ha bisogno di essere contenuto, delimitato e sorretto da altre istituzioni: giuridiche, sociali, politiche, morali e religiose. Abbandonato a se stesso il mercato inizia a funzionare contro l’uomo. O smette di funzionare.



Il problema è allora la cultura che sta dietro al mercato e al centro della cultura sta l’autocoscienza dell’uomo, il modo in cui l’uomo concepisce se stesso. Al centro dell’autocoscienza, poi, sta il rapporto che l’uomo stabilisce con l’Assoluto o ciò a cui decide di donare l’amore assoluto del suo cuore.



Nella nostra società il dio dell’uomo è l’uomo stesso. La nostra è l’epoca del narcisismo. Questa visione condiziona anche un modo di pensare l’economia. Il fine che l’economia persegue è la massimizzazione dell’utile individuale. Chi perde, in questa lotta a morte per l’affermazione di sé, è superfluo ed esce dalla storia. Naturalmente i perdenti non accettano di uscire dalla storia quietamente e senza disturbare. Si rivoltano e, per quanto possono, cercano di sabotare il sistema. Il sistema vuole vivere senza di loro e, di conseguenza, loro non sono interessati alla vita del sistema ed esprimono contro di esso il loro rancore.



La proposta di Francesco è quella di un’economia che funziona secondo un’altra cultura, secondo una cultura comunionale. In una cultura comunionale il soggetto non è un individuo astratto, ma una persona aperta alla condivisione della vita dell’altro, perché l’autocoscienza è determinata dalla relazione con l’Assoluto di Dio. La presenza dell’altro nella mia vita è la fonte della gioia e io scopro la verità di me stesso nella relazione con gli altri uomini.

È, questa, l’esperienza fondamentale dell’appartenenza, la cosa che cambia i parametri fondamentali della scienza economica. Se ci apparteniamo reciprocamente, se viviamo l’uno nella vita dell’altro, allora il mio interesse è che tu viva. Non è la massimizzazione solo del mio utile individuale, ma al tempo stesso è l’interesse a che cresca il legame in cui consiste la mia vita.

Un grande economista napoletano, Antonio Genovesi, ha scritto nelle sue Lezioni di economia civile (1765) che l’uomo è mosso dalla ricerca dell’utile individuale e, inseparabilmente, da quella del bene comune. Il bene comune non è semplicemente una somma di beni individuali. Il bene comune è il bene di una comunità e diventa concepibile solo se c’è un popolo che si concepisce come soggetto.

È per questo che non si può pensare una nuova economia se non si pensa insieme con essa un popolo nuovo, un soggetto tenuto insieme dalla solidarietà in cui ciascuno si preoccupa di realizzare il proprio bene, cooperando al tempo stesso in modo solidale perché anche gli altri possano conseguire il medesimo risultato.

Tutto questo è molto bello, ma anche molto astratto se non ci poniamo la domanda: da dove viene l’energia che trasforma esseri isolati, egoisti, interessati solo al successo individuale, in soggetti comunionali che costruiscono un popolo e si concepiscono come popolo?

Papa Francesco è molto prudente nel rispondere a questa domanda. Chiunque viva un’esperienza di unità e di comunità umana è benvenuto nel processo storico della generazione di un popolo. I cristiani vivono questa costruzione, comunque, come un’espressione della loro identità cristiana. Riconoscendo Cristo come loro volto vero i cristiani imparano a essere membra gli uni degli altri e a riconoscere tutti gli uomini come corpo di Cristo. Contenti se altri si aggiungeranno nell’impresa, i cristiani sono consapevoli del fatto che il loro modo di stare dentro la società è costruire un popolo.