Nell’udienza generale del 6 aprile dedicata al suo viaggio a Malta il Papa ha detto, tra le altre cose: “Dopo la Seconda guerra mondiale si è tentato di porre le basi di una nuova storia di pace, ma purtroppo – non impariamo – è andata avanti la vecchia storia di grandi potenze concorrenti. E, nell’attuale guerra in Ucraina, assistiamo all’impotenza della Organizzazione delle Nazioni Unite”.



Si tratta di un giudizio amaro, decisamente pertinente. In un momento in cui l’Europa e il mondo intero stanno attraversando una delle crisi più gravi del dopoguerra la voce dell’Onu appare fioca, quasi inesistente. E questo nonostante le tre risoluzioni prese contro la Russia.

Le motivazioni sono quelle note: la Russia fa parte dei cinque Paesi con diritto di veto e, di conseguenza, non si può fare molto in quella sede. Se questa è la realtà, una realtà che sembra condannare l’Organizzazione delle Nazioni Unite al tramonto, è altresì vero, come scrive Mario Giro, che in questo momento le parti non utilizzano le Nazioni Unite come ammortizzatore, ma come strumento di contrapposizione. L’Onu dovrebbe invece essere preservata come ambito di mediazione e dialogo. Mancano potenze disposte a sporcarsi le mani con la conciliazione, salvo per ora la Turchia. La maggioranza degli Stati si schiera condannando Mosca, mentre una minoranza preferisce non essere implicata e si astiene (“L’Onu non si lasci mettere da parte e indichi la via alle parti in guerra”, Domani, 8 aprile 2022).



Insomma, l’Onu non sta svolgendo il suo compito, che è quello di trovare soluzioni di pace tra le nazioni, e questo non solo perché la Russia sta bloccando ogni iniziativa, ma anche perché le altre grandi potenze, dall’America alla Cina ai Paesi europei, non stanno facendo nulla per favorire un processo di pace. Secondo Giro, “Davanti alla guerra ucraina sarebbe necessaria una visione d’insieme sia dei rischi che delle conseguenze durevoli. In attesa di tornare a svolgere il suo ruolo mediativo, oggi il dovere dell’Onu è di indicare con urgenza alle parti gli effetti nefasti della guerra, soprattutto se gli scontri armati dovessero proseguire. Ci sono le ragioni per la difesa ucraina di fronte all’invasione russa. Vanno considerate anche le ripercussioni riguardanti il prolungamento della guerra: non coinvolgono soltanto Russia, Ucraina o Europa ma tutto il mondo. L’Onu deve essere molto chiara con le parti: la contesa in Ucraina rischia di trascinare il pianeta nel caos sociale ed economico e questa è una loro inderogabile responsabilità”.



Le osservazioni di Giro sono del tutto pertinenti e consentono di collocare adeguatamente il giudizio del Papa sul venir meno della funzione essenziale dell’Onu in tempi di guerra. Una affermazione che ne sottende un’altra: il Papa nella sua strenua richiesta della pace è lasciato solo. L’Europa nel suo sostegno all’Ucraina ha giustamente messo in atto una serie di misure sanzionatorie verso Mosca, ha sostenuto militarmente la resistenza ucraina, ma, condizionata anche dalla rigidezza americana, non è stata in grado di offrire una soluzione diplomatica al conflitto. Gli Usa e l’Europa confidano ormai solo nella soluzione armata, nelle difficoltà delle forze armate russe, sperando nella sconfitta di Putin. Così ogni speranza è riposta nella guerra e il Papa è lasciato solo.

Più solo di Giovanni Paolo II, il quale al tempo della sua opposizione alla guerra contro l’Iraq voluta dal presidente Bush poté almeno godere dell’appoggio del popolo della sinistra oltre che di tantissimi cattolici. Non così oggi, dal momento che la decisione criminale del populista-nazionalista Putin consente alla sinistra di posizionarsi, senza problemi, nella posizione occidentalista, quello delle democrazie contro le autocrazie.

Un quadro, si badi bene, che non differisce da quello del 2003. Anche allora l’Occidente democratico giustificò la guerra contro l’“asse del male” dato allora dai Paesi retrogradi e islamisti. Lo stesso quadro torna, a parti inverse, da parte della Russia, la quale giustifica il proprio regime e la guerra come lotta contro l’asse del male dato dall’Occidente, libertino e corrotto. In entrambi in casi, tanto da parte dell’Est quanto dell’Ovest, la guerra si iscrive in un quadro manicheo, tra il Bene e il Male, e il conflitto è destinato ad incancrenirsi e a non trovare più soluzione.

La guerra tra Russia e Ucraina fa collassare oggi il mondo multipolare – quello pacifico auspicato da papa Francesco nella sua enciclica Fratelli tutti – e lo riporta ad una nuova forma della bipolarità Est-Ovest. Da un lato l’Occidente americano con una Europa svuotata e risolta nella Nato e, dall’altro, una Russia svuotata, costretta ad accodarsi al Drago cinese. Così in un mondo semplificato rimangono sulla scena i due giganti, Usa e Cina, i quali preparano il campo di battaglia per lo scontro decisivo, quello di domani.

Si tratta di uno scenario cupo laddove la guerra presente serve solo a disegnare gli scenari futuri, serve a ridimensionare la Russia, la quale comunque esca dalla guerra ha già perso, e l’Europa sempre più legata al carro dell’America dopo l’uscita di Angela Merkel.

In questo grande gioco, in questa “terza guerra mondiale a pezzetti” (papa Francesco), l’Ucraina è la vittima sacrificale, il terreno “neutro” in cui i due blocchi si scontrano per la supremazia futura. Fuori dalla logica dei blocchi, prima che la guerra possa assumere derive incalcolabili, rimane solo la via del negoziato, una via che permetta alla coraggiosa Ucraina di salvare il salvabile, di mantenere quanto più possibile la propria integrità territoriale. Ciò che occorre assolutamente evitare è che l’Ucraina diventi un nuovo Vietnam. Allo scopo servono però Paesi mediatori. America e Gran Bretagna non vogliono essere tali; al contrario soffiano sul fuoco con l’idea di mettere in ginocchio la Russia. La Cina si sottrae per non indebolire l’alleato russo. Chi allora? La Turchia? Da sola non ha questa forza. È solo in un concerto di nazioni e di potenze che può darsi la forza mediatrice, quella forza che trova nel Papa la sua voce profetica.

L’Europa non può sottrarsi a questo compito, non può semplicemente limitarsi ad inviare armi a Kiev. Deve coinvolgere l’Onu e sospingere anche il riottoso Biden a trovare soluzioni negoziali. E questo non per riproporre lo spirito di Monaco, come continuano a ripetere i falchi, quelli che questa guerra la vogliono combattuta fino in fondo. Ma, al contrario, per non arrivare ad una nuova Monaco, magari a breve con la Cina.

Putin con la sua decisione si è ritagliato il suo posto tra i criminali della storia. Non è il solo, è in buona compagnia, ma la sua Russia, come la guerra ha reso evidente, non è la potente Germania di Hitler. Non solo la martoriata Ucraina, anche la Russia ha bisogno di uscire al più presto da questa guerra in cui sta seppellendo tutto, la sua potenza militare, la sua economia, il suo onore internazionale.

L’Occidente ha tutto il diritto di chiedere la testa di Putin ma non quello di ripetere l’errore del 1991, quando con il crollo dell’Urss volle stravincere abbandonando l’odiata avversaria in preda alle mafie, al capitalismo selvaggio, alla povertà, alla perdita di ogni prestigio. Il revanscismo di oggi, il nazionalismo politico-religioso fondato sul mito della grande Russia, costituisce la reazione all’umiliazione di 30 anni fa ed è all’origine della tragica guerra di oggi. L’Europa deve impegnarsi non solo nel sostenere l’Ucraina, ma anche nel porre fine alla guerra. Può così riaprire la strada verso un mondo multipolare, l’unico in grado di alimentare speranze di pace. In questo modo il Papa non sarà più lasciato solo nel suo grido contro la guerra.

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